Ho assistito, ormai un anno fa a uno spettacolo particolare dal titolo “I soliti asini” messo in scena dalla compagnia teatrale “I Rabdomanti”. La pièce consisteva in monologhi liberamente tratti da un testo di Giacomo Stella, il principale riferimento italiano in materia di dislessia; monologhi scritti da adulti dislessici che raccontano la loro esperienza di bambini non capiti, emarginati, sofferenti. Un approccio al problema dislessia diverso dai soliti, che mi ha molto colpito per il suo impatto emotivo. Ed è proprio sugli aspetti emotivi del disturbo che vorrei porre l'attenzione.
Ma che cos'è la dislessia? E' un problema dell’apprendimento che riguarda in modo specifico la capacità di leggere in modo corretto. Si associa spesso alla disgrafia, difficoltà nella scrittura, tanto che il termine dislessia viene usato anche per accorpare il secondo disturbo; talora può presentarsi anche in associazione con la discalculia, difficoltà nell'ambito matematico. Il problema è piuttosto diffuso in Italia, si calcola che colpisca circa 1.500.000 di persone. Nonostante la sua diffusione, è poco conosciuto e i bambini dislessici spesso passano per pigri, distratti, non volenterosi, poco interessati allo studio e alla scuola: i soliti asini, insommma.
La dislessia, peraltro, non è associata al ritardo mentale, di conseguenza i bambini che ne soffrono sono di norma intelligenti, vivaci, creativi; all'ìingresso nella scuola primaria ci si aspetterebbe dunque il rapido raggiungimento di risultati brillanti da parte loro. Al contrario è da subito evidente una discrepanza fra queste potenzialità e l'apprendimento delle capacità di base di lettura e scrittura, che risulta lento e difficoltoso, e non si completa mai del tutto come per gli altri bambini. A causa di queste difficoltà si instaura spesso un circolo vizioso, tale per cui il bambino prova talmente tanto disagio nell'apprendere e nell'andare a scuola, da finire con l'applicarsi sempre meno allo studio, cosa ovviamente controproducente in quanto occorrerebbe ancor più esercizio e applicazione per rimanere al passo dei compagni. Il disagio sperimentato dal bambino dislessico è dovuto anche al confronto con i coetanei, che nell'età delle primarie è spesso animato da grande competizione: il divario nei risultati, nei 'voti', crea un abbassamento molto forte dell'autostima di questi bambini. Leggere ad alta voce diventa per questi bambini un vero supplizio: lo sforzo attentivo che questa operazione comporta non viene premiato dai risultati e le prese in giro dei compagni possono essere feroci, al punto di scoraggiare totalmente il bambino dislessico.
Di solito una diagnosi di dislessia avviene alla fine della seconda classe primaria, in quanto i ritmi di apprendimento nei primi due anni di scuola possono essere molto differenti e alcune difficoltà e lacune dell'inizio tendono a risolversi spontaneamente. Non tutti gli insegnanti purtroppo sono però preparati a comprendere e affrontare il problema, anche solo per segnalare la possibilità del disturbo e dare quindi il via all'iter diagnostico. Per non parlare dell'accoglimento della sofferenza di questi bambini: anche se molti passi sono stati compiuti nella comprensione della dislessia e nella messa a punto di programmi specifici di apprendimento (con l'ausilio anche di software specifici e materiale multimediale), lunga è la strada per una comprensione dei bambini dislessici. Di ciò che provano di fronte a un foglio bianco da riempire con movimenti fluidi della mano, di fronte a un foglio pieno di segni misteriosi da decodificare. Eppure è proprio da lì che occorrerebbe partire, dalla sofferenza, per accoglierla, accettarla e trasformarla in motivazione.