Parlare al figlio adottato del suo passato è un compito molto delicato che le famiglie possono trovare difficoltoso e spinoso. I dubbi possono essere tanti: cosa dire? Come e quando? Alcuni genitori possono ritenere inopportuno affrontare la questione per evitare di turbare il bambino con un argomento tanto penoso. L’intenzione di proteggere il figlio adottivo, per quanto comprensibile, non è tuttavia giustificabile né dal punto di vista psicologico, né da quello giuridico. In Italia l’adozione è regolamentata dalla legge 184 del 1993, successivamente modificata dalla L 149 del 2001, si tratta di un provvedimento che rende il bambino che si trovi in stato di abbandono figlio a tutti gli effetti della famiglia adottante, cancellando così i precedenti legami familiari. Sempre la stessa legge prevede però all’articolo 28 che l’adottato venga “informato della sua condizione dai genitori adottivi nei modi e nei tempi che riterranno opportuni”. Il bambino ha quindi il diritto anche dal punto di vista legale di conoscere le proprie origini, anche se la normativa lascia un ampio margine di discrezionalità alla famiglia.
Molti studi inoltre confermano che la conoscenza della propria storia personale è fondamentale per il benessere e il positivo sviluppo psichico della persona. Evitare di parlare dunque non protegge il bambino dal dolore ma ne ostacola la salute psicologica.

La storia del bambino adottato è sempre caratterizzata da un prima e un dopo. Il “prima” cioè il periodo precedente all’adozione, può avere durata e caratteristiche variabili: ci sono bambini non riconosciuti alla nascita che vengono adottati a pochi mesi di vita ed altri, nella maggior parte dei casi, che arrivano nella famiglia adottiva in età più avanzata dopo aver passato del tempo in una famiglia d’origine inadeguata o maltrattante oppure in una Comunità; altri bambini vengono da paesi lontani dall’Italia geograficamente e culturalmente, come nel caso dell’adozione internazionale, spesso dopo aver vissuto in contesti fortemente deprivati. Ciò che accomuna queste situazioni sono i temi dell’abbandono (ci sono stati dei genitori che non volevano o non sapevano occuparsi del proprio figlio) e della perdita, si tratta infatti di bambini che per vari motivi non sono rimasti con chi li ha generati. Raccontare il “prima” aiuta il bambino a rimettere in ordine i pezzi del proprio passato e ad elaborarli e conseguentemente a vivere meglio il “dopo”, cioè la sua vita con la famiglia adottiva. In altre parole, l’adozione rappresenta sì un nuovo inizio ma non cancella la storia precedente: il bambino abbandonato e il bambino adottato sono la stessa persona e le prime esperienze vissute, anche se non ricordate o rimosse, hanno un effetto sulla sua personalità. Emozioni e sensazioni come ansia, inquietudine, rabbia, possono manifestarsi in adolescenti e adulti adottati che non abbiano avuto l’occasione di conoscere ed elaborare adeguatamente la propria storia personale.

Il tema del racconto dell’adozione è molto complesso, in linea generale possiamo però dare delle indicazioni:
E’ giusto riferire all’adottato tutte le informazioni che si hanno a disposizione sul suo passato: da dove viene, chi erano i suoi parenti, quali problemi avevano e cosa è successo loro. Il racconto tuttavia va modulato in base all’età e alle capacità di comprensione e alla sensibilità del bambino. Il genitore deve essere un “filtro” che non distorce i fatti ma li semplifica per renderli chiari e comprensibili. Il racconto della propria storia personale è comunque un processo che si snoda nel tempo, nel corso degli anni si potranno dare approfondimenti e precisazioni calibrandole sulle capacità cognitive e sul bisogno di sapere del bambino o del ragazzo.

Non solo informare ma anche aiutare a dare un senso. Ad esempio il bambino può sapere di essere stato adottato (informazione) ma non capirne il motivo e si chiederà “Perché sono stato lasciato? Perché i miei genitori naturali non si sono occupati di me?”. L’idea di non essere stato voluto o non accudito sufficientemente, può portare il bambino a farsi un’idea di sè come indegno d’amore, incapace di farsi voler bene da chi lo ha messo al mondo. Deve essere chiarito al bambino che lui non ha nessuna colpa, è stato il genitore biologico a fare una cosa ingiusta. Tuttavia il genitore naturale non va presentato come “cattivo” o negativo in assoluto, ma come una persona che ha sbagliato e che non sapeva come prendersi cura di lui, perché troppo fragile, incapace, in difficoltà... Presentare l’abbandono come un evento ingiusto e sbagliato ma non commesso con cattiveria, poterà con il tempo ad un processo di accettazione e di perdono.

Il bambino va stimolato, con delicatezza e tatto, a parlare e a chiedere del suo passato. Questo non significa che il genitore debba forzare l’argomento ma piuttosto mostrarsi aperto e disponibile, far capire che la questione non è un tabù. Può essere utile sfruttare gli spunti che la vita quotidiana offre per parlare di adozione come film, cartoni animati, fatti di cronaca, vicende di altre persone, ecc. Ad esempio, la gravidanza di una donna che si conosce può offrire ai genitori adottivi l’occasione per spiegare al figlio che è stato nella pancia di un’altra mamma prima di arrivare da loro. Con i bambini più piccoli si può ricorrere alle fiabe che parlano di adozione e affidamento, in commercio ne esistono di splendide ma possono anche essere inventate dal genitore stesso.