In Italia la disoccupazione pesa come un macigno. Ogni mese l’Istat lancia un nuovo record negativo e il tasso di disoccupazione giovanile resta sempre al primo posto della classifica. Dati alla mano, il 2012 lascia un’eredità di 400 mila disoccupati in più e il 2013 si apre con 80 mila dipendenti in meno, una riforma dell’apprendistato che fatica a decollare, un tasso di inattività senza pari in Europa e il lavoro nero che continua ad alimentare la nostra economia.
E’ un quadro desolante, che spinge molti ragazzi a mollare la presa. Stando alle stime dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, nel 2009 ci sono stati 191 casi di emergenze psichiatriche e addirittura 200 nel 2010. Gli psicoterapeuti danno la colpa ai ritmi frenetici della famiglia, che non ha più la possibilità di gestirsi nei ritmi e nei modi. Le cause? Incapacità dei ragazzi di rapportarsi agli adulti e ai coetanei in modo sereno, rabbia accumulata nei confronti del mondo e eccessiva autonomia sono solo alcune delle ragioni che portano i giovani alla distruzione della propria vita.
Capitalismo, spread, tassi di interesse. Ma se la crisi economica fosse solo un deterrente? Se la causa del disagio giovanile fosse un altro? E’ facile scaricare la colpa dei propri fallimenti su qualcosa che è al di fuori di noi: molto più semplice puntare il dito che fare mea culpa.
Ci siamo già passati nel ’29, anche se secondo alcuni esperti stavolta le ripercussioni economiche sono più pesanti, e probabilmente ci saranno altre recessioni nella storia del mondo.
Ognuno di noi, a qualunque credo appartenga, ha diritto ad una porzione di tempo da trascorrere sul pianeta Terra. Questo arco temporale prende il nome di vita. Ma si tratta di un’entità che non è possibile congelare in un momento sfavorevole come quello che stiamo attraversando dal 2008 e poi riprendere in una fase di rilancio o di prosperità. Il tempo scorre, gli anni passano, le vite si spengono.
I minuti, le ore, le settimane continuano a correre affannosamente anche senza di noi. Nascondersi dietro la crisi economica non cambierà le cose: è giunto il momento di prendere in mano il proprio futuro e plasmarlo in base alle proprie attitudini, ma soprattutto è necessario adattarlo al contesto di riferimento.
Nessuno sta negando che fino a qualche anno fa il passaggio dal mondo universitario a quello lavorativo era molto più diretto e che spesso in alcuni settori meno ‘gettonati’ le prime proposte arrivavano già durante il ciclo di studi. Oggi le cose sono cambiate. La storia non si fa con i se o con i ma, e la vita non è da meno. Dobbiamo inventarci nuove professioni.
Secondo l’Aiab, l’associazione italiana per l’agricoltura biologica, contro la doppia crisi economica ed ecologica si punta all’agricoltura sostenibile come settore di rilancio della produttività e della tutela ambientale. L'Italia è il primo Paese per numero di aziende 'bio' con 47.663 operatori e un mercato che l'Organic Service stima intorno ai 3,5 miliardi di euro e che dà lavoro a circa 130.000 persone interessando una superficie pari a 1.113.742 ettari. Se alcuni di questi lavori ‘verdi’ sono ormai entrati nel vocabolario comune, come l'agronomo o l'apicoltore, altre figure si fanno strada, dallo zoonomo sostenibile all'ecoauditor. Questo perchè agricoltura 'verde' non significa più soltanto 'biologico', ma biomasse e rinnovabili, rifiuti, risparmio energetico, taglio elle emissioni di gas a effetto serra, lotta al dissesto idrogeologico.
Ecco, è un esempio. Basta con i proverbi, basta con le frasi fatte. Non possiamo cancellare il quadro scoraggiante che ci circonda, ma possiamo rimboccarci le maniche e darci da fare. E’ ora di vivere.



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