“Il bambino è fatto di cento. Il bambino ha cento lingue, cento mani ,cento pensieri cento modi di pensare, di giocare e di parlare. Il bambino ha cento lingue ma gliene rubano novantanove” (Loris Malaguzzi).

Attualmente la scuola italiana si trova ad affrontare uno dei momenti più difficili degli ultimi decenni. Ciò è dovuto soprattutto alla carente attenzione che le si dedica sul lato economico, al senso di disagio e smarrimento di quanti vi operano, alla complessità dei contesti in cui la scuola è immersa e dei bisogni educativi propri per ogni studente che richiedono la progettazione di strategie e modalità di intervento adeguate. È proprio in quest’ottica che la scuola deve affrontare una sfida difficili ma allo stesso tempo indispensabile: personalizzare le proposte di insegnamento-apprendimento attraverso una didattica efficace. È essenziale riconoscere le potenzialità degli studenti, diversificare l’azione formativa e garantire a ciascuno opportunità di successo. Per fare ciò bisognerebbe tenere in conto la teoria delle intelligenze multiple la quale pone l’attenzione alle peculiarità di ogni singolo allievo e alla valorizzazione delle stesse, curandosi del ragazzo, non annullando le sue specificità ma sollecitandole.

Lo studio delle differenze individuali ha interessato da anni diversi ambiti, da quello emotivo a quello motivazionale ma, soprattutto, quello cognitivo. In quest’area ci si è interessati, attraverso i test d’intelligenza,alla misurazione e rilevazione di differenze quantitative, basandosi inizialmente su un concetto generale di intelligenza e, solo successivamente, in seguito a studiosi come Gardner, ci si è soffermati sullo studio di diverse abilità o intelligenze. Appare chiaro il tentativo di concentrare l’attenzione sempre più sulle caratteristiche che differenziano gli individui piuttosto che sui tratti comuni. Questa esigenza è nata dal fatto che il richiamo alle abilità generali delle persone non sembra sufficiente a rendere conto delle loro differenti prestazioni in compiti diversi. A partire, quindi, da studi che considerano l’intelligenza come unica abilità generale, si è assistito ad un proliferare di teorie che hanno volto lo sguardo a differenti modalità nell’elaborazione dell’informazione considerando, quindi, diverse abilità che caratterizzano ogni individuo. Da teorie uni fattoriali dell’intelligenza si è così passati ad una concezione di pluralità dell’intelligenza.
Avere come punto di riferimento la teoria delle intelligenze multiple significa avere una molteplice prospettiva per conoscere meglio gli studenti, rivolgendo l’attenzione alle differenze nei processi apprenditivi, considerando le diversità come risorse.

È possibile definire l’intelligenza come l’insieme di capacità specializzate di cui una data specie è fornita per la soluzione di problemi. Essa viene misurata attraverso dei test che portano ad avere come risultato il quoziente intellettivo. Lo scopo iniziale dei test d’intelligenza era quello di individuare i bambini con difficoltà a scuola ma, con il passare del tempo, tali strumenti furono utilizzati come strumento per classificare e selezionare individui secondo le loro differenze intellettive. L’intelligenza, infatti, era considerata da molti ricercatori come una dote innata, posseduta in misura diversa dai vari gruppi etnici e i risultati ottenuti da diversi test d’intelligenza, somministrati ad individui di etnia diversa, confermavano queste idee razziste. A proposito di ciò diversi studiosi hanno cercato di superare la concezione di intelligenza e i limiti dei test applicati ad essa. Howard Gardner confuta l’esistenza di una facoltà comune di intelligenza a favore di diverse sue forme, ognuna indipendente dalle altre. A tal proposito egli parla di nove tipi di intelligenze: intelligenza linguistica, intelligenza musicale, intelligenza logico-matematica, intelligenza spaziale, intelligenza cinestesico-corporea, intelligenza interpersonale, intelligenza intrapersonale, intelligenza naturalistica e intelligenza esistenziale.

E’ sulla scia di tale teoria che si è sviluppata la ricerca svolta presso l’ottavo circolo didattico “Don Milani” di Salerno con il fine di indagare come diverse abilità cognitive possano comparire, maturare, rimanere invariate o sparire con il passaggio dalla scuola dell’infanzia a quella primaria. In particolare le aree indagate sono state: l’area grafico-pittorica, l’area linguistica, l’area musicale, l’area motoria.

Gli obiettivi della ricerca sono stati:
- indagare sull’evoluzione delle competenze comunicative ed espressive di carattere iconico;
- osservare sia il livello di abilità motoria raggiunto dal bambino e sia il passaggio dalle semplici coordinazioni motorie all’esecuzione di azioni che richiedono l’interiorizzazione degli schemi;
- cogliere la capacità di attenzione uditiva, la capacità di riproduzione corretta dei ritmi e l’atteggiamento verso l’ascolto e la riesecuzione;
- verificare l’abilità linguistico-semantica;
- valutare il riconoscimento di lettere o parole all’interno di una sequenza ordinata di lettere o all’interno di una frase.
Hanno preso parte alla ricerca 59 bambini di un istituto comprensivo di Salerno suddivisi in tre fasce d’età: 15 bambini dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia ( dai 4 ai 5 anni); 44 bambini del primo ciclo della scuola primaria e rispettivamente 22 bambini della prima classe ( dai 5 ai 6 anni) e 22 bambini della seconda classe primaria (dai 6 ai 7 anni).
I dati discussi hanno permesso di individuare quali siano le differenze individuali di ogni bambino in fasce di età determinate e suddivise, per comodità, seguendo le distinzioni che gli stessi insegnanti operano durante l’attività quotidiana.
L’analisi dei dati ha permesso di evidenziare come non vi sia effettivamente una stabilità delle capacità cognitive nei bambini dalla scuola dell’infanzia al primo ciclo della scuola primaria.
Prima di passare alle conclusioni dovute ai risultati ottenuti vi è un ultimo evento che mi sento in dovere di raccontare in quanto denuncia ancora una volta come la società abbia immensi pregiudizi nei confronti della diversabilità. Recatami nella classe seconda dell’istituto, mi sono presentata ai bambini e all’insegnante. Quest’ultima, dopo avermi chiesto in cosa consistessero le prove, ha subito tenuto a precisare che in quella classe vi era un bambino disabile e che quindi non sapeva se sarebbe riuscito a sostenere tali prove. Non essendo un bambino con “problemi” visibili ho pensato di non farmi proprio dire chi fosse, anche perché forse sarei anche io caduta nella trappola di considerare la “diversità” come “diversa” da me e avrei forse messo in atto atteggiamenti di riguardo, di “aiuto”. Come nelle altre classi ho somministrato tutte le prove e con mio grande orgoglio ho verificato come nessun bambino abbia riscontrato problemi nell’eseguire i compiti né abbia evidenziato forti carenze in nessun ambito. Finiti i test ho comunicato questo splendido risultato alla maestra, pregandola, comunque, di non svelarmi quale fosse questo bimbo diversamente abile: a tutt’oggi non conosco l’identità di questo bambino ma ho potuto testare con mano un insegnamento fondamentale trasmessomi in questi anni di università e cioè che il disabile non deve essere visto, come è stato fatto in tempi passati e purtroppo ancora oggi, come un “mostro della natura”, “il peccatore da dover salvare”, il “malato da curare”, “il bambino da proteggere” ma come una “persona da integrare”. C’è un film italiano che si intitola “Diverso da chi?” e credo che questa sia la domanda che un po’ tutti dovremmo porci; purtroppo finché la società non aprirà gli occhi e non imparerà a vedere sè stessa come un diverso dagli altri esisterà sempre l’ombra del pregiudizio e della superficialità nei riguardi della diversabilità.

I risultati ottenuti mi hanno permesso di concludere che non vi è nessuna abilità in particolare che progredisce o meno nel passaggio da un ciclo di studio ad un altro né sono tanto il fattore età, il fattore classe, il fattore genere ad influire sul rendimento nelle prove dei bambini.

Ciò che influisce è il singolo individuo che è costituito dalle sue abitudini, dai suoi spazi socio-culturali, dal suo mondo. Infatti, è stato possibile osservare come tutte le abilità osservate si sviluppino si nel passaggio dall’infanzia al primo ciclo della scuola primaria ma è anche vero che vi è, in ogni classe, una minoranza in grado di raggiungere risultati elevati in determinate prove a prescindere dalla loro età.
Sarebbe importante e necessario a tal proposito aprire ogni ciclo di studi con la somministrazione prove che permettano di evidenziare quali siano le attitudini di ogni alunno e, partendo da queste, svolgere una didattica che consenta ad ogni individuo di raggiungere risultati ottimali per la sua formazione.


Immagine tratta da: scuolachefarete.it