Ormai il bullismo non è più agli onori della cronaca, rispetto a qualche anno fa. Ciò significa che è in diminuzione? In realtà i dati statistici dimostrano il contrario. Il decimo rapporto realizzato in collaborazione tra l’Eurispes e il Telefono Azzurro, attesta un incremento di percentuale nel corso degli anni, sia delle forme di bullismo diretto che indiretto, che del cyberbullismo (Bevacqua, 2012).
Il bullismo è cambiato anche dal punto di vista qualitativo, oggi è un fenomeno trasversale a qualsiasi classe sociale, non solo appannaggio dei ceti sociali svantaggiati.

E allora quale strategia è più efficace per contrastare questo fenomeno, che compromette lo sviluppo psicofisico e sociale, di chi ne è coinvolto anche in età adulta?
Sicuramente non esiste una soluzione che punti su un’unica direzione; allo stesso modo sortiscono pochi effetti gli interventi concentrati solo sul bullo o sulla vittima. La valutazione sui risultati di alcuni progetti di prevenzione messi in campo, sia in Italia che all’estero dimostra che la prevenzione al bullismo, risulta efficace quando gli interventi abbracciano i vari ambiti di socializzazione in cui è coinvolto il bambino o l’adolescente, dalla famiglia alla scuola, fino alle associazioni sportive e ricreative.

La domanda da porsi allora è: quale prevenzione? Quale strategia è importante mettere in atto, quale tecnica occorrerebbe privilegiare?
Sicuramente non si può rispondere a questa domanda in modo univoco. Tuttavia misure improntate soltanto al rispetto delle regole, di stampo meramente disciplinare e repressivo, seppur necessarie, non sortiscono molti effetti nel lungo periodo.
Secondo Savigliano, infatti, “se un preadolescente può fermarsi alla fase dell’eteronomia piagetiana o imparare dai comportamenti in forza di un addestramento meccanico, un adolescente necessita di un registro più profondo, più di natura educativa, di evocazione e potenziamento delle sue energie profonde, di scoperta del particolare (norma) come strada per la totalità (compimento di sé)”(Savigliano, 2010).
Puntare su iniziative di educazione alla legalità è importante, ma affinché non vengano dimenticate subito dopo, è necessario che le regole vengano interiorizzate, che coinvolgano la sfera emotiva dei ragazzi.
L’educazione alla legalità sarà tanto più efficace, quanto più sarà affiancata da altrettante iniziative che promuovano lo sviluppo della cosiddetta intelligenza emotiva.
Secondo la definizione di Goleman, per intelligenza emotiva, s’intende “la capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; e ancora, la capacità di essere empatici e di sperare (…). La vita emotiva è una sfera che, come sicuramente accade nel caso della matematica o della letteratura, può essere gestita con maggiore o minore abilità, e richiede un insieme di competenze esclusive”(Goleman, 1996).
L’intelligenza emotiva, sarebbe quindi alla base dello sviluppo delle cosiddette life skills , di quelle abilità sociali e di vita, che sono alla base, di un adeguato adattamento nella relazione con compagni ed insegnanti, oltre che di un proficuo rendimento scolastico.

Aiutare infatti il bambino a prendere consapevolezza delle proprie emozioni, è il punto da cui partire, affinché possa gestirle, controllarle, ed indirizzarle al raggiungimento dei propri obiettivi, inoltre prendendo coscienza del proprio mondo emotivo, sarà maggiormente in grado di provare empatia nei confronti dei suoi coetanei.
Le ricerche dimostrano che, per l’assunzione del ruolo di bullo o di vittima, gioca un forte peso, lo stile educativo della famiglia di appartenenza. In particolare è forte la correlazione tra il mettere in atto una condotta da bullo a scuola, e l’aver sperimentato in famiglia situazioni di maltrattamento fisico e psicologico; soprattutto nel caso in cui il bambino non ne capisca il motivo, potrebbe sperimentare stati di frustrazione così forte, che se non elaborati correttamente, potrebbero sfociare in forme di aggressività esacerbata nei confronti di bersagli più deboli. Allo stesso modo, la vittima di bullismo, in generale, proviene da una famiglia iperprotettiva ed invischiata. Ciò non consente di sperimentare un certo grado di autonomia e di “frustrazione ottimale”, che consente di prendere consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, di esplorare il mondo esercitando adeguate capacità sociali e relazionali. Capita a volte che durante l’infanzia e l’adolescenza, i bambini sperimentino alcune situazioni come un trauma, mentre per gli adulti sono di poca importanza.
Se il bambino non è aiutato a elaborare queste emozioni correttamente, e a prenderne consapevolezza, il rischio è quello che si costituisca un substrato di sofferenza, possibile fonte di comportamenti devianti.
Per questi motivi, è importante il ruolo esercitato dai servizi sociali nella prevenzione al fenomeno del bullismo. Purtroppo ancora oggi, nella maggior parte dei casi, l’assistente sociale interviene solo quando il disagio sfocia in casi emergenza conclamata; ad esempio nell’ambito dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni, quando a seguito della condotta da bullo, il minore provochi dei danni ascrivibili al codice penale.

Emblematica a questo proposito è l’esperienza, delle assistenti sociali Susanna Cecchini ed Eloisa Princiotta. Vincitrici di una borsa di studio, da parte della fondazione “Gaetano Costa”(1),hanno implementato un progetto di prevenzione al fenomeno della dispersione scolastica nel quartiere Zen di Palermo. In questo contesto, caratterizzato da un forte degrado sociale, l’abbandono precoce degli studi, rappresenta l’inizio dell’ingresso dei minori nel circuito della criminalità organizzata, oltre che di altri comportamenti devianti. Allo stesso modo, la mancata integrazione del bambino nella scuola, è la conseguenza di situazioni familiari problematiche alle spalle, che non consentono ai genitori di assolvere adeguatamente ai loro compiti educativi.

La dott.ssa Princiotta e la dott.ssa Cecchini, hanno lavorato in un’ottica di valorizzazione e di potenziamento delle capacità genitoriali, e non di punizione.
Dapprima hanno operato in sinergia con la scuola implementando dei programmi di potenziamento delle abilità sociali nei confronti degli alunni, successivamente hanno coinvolto i genitori dei bambini con particolari difficoltà di adattamento, attraverso un programma parent trainig. Si tratta di un modello di origine anglo-americana, “è considerato un vero e proprio addestramento dei genitori nelle tecniche educative (parenting) così da renderli sempre più consapevoli della loro funzione di agenti di cambiamento. Essi, pertanto, apprendono a prestare la propria attenzione ai bisogni e agli aspetti positivi dei figli, ad essere autorevoli e nello stesso tempo a punire quando la situazione lo richiede in modo corretto ed efficace”(Princiotta, Cecchini a cura di Fondazione Costa, 1997).
Gli operatori hanno subito riscontrato miglioramenti nelle condizioni psicologiche e comportamentali dei bambini, i cui genitori avevano partecipato al programma.
In conclusione, agire quando in una scuola il bullismo, diventa un problema di estrema gravità, per quanto sia giusto ed utile, non è la soluzione migliore.
La prevenzione sarà davvero efficace, quando l’obiettivo dell’intervento, sarà non tanto la prevenzione del disagio, ma la “promozione all’agio”, di tutti quei fattori che sono alla base del benessere psicologico e sociale dei ragazzi.
In quest’ottica si inserisce pienamente lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, non solo nei confronti degli alunni, ma anche di chi è chiamato in causa nella loro educazione, a cominciare dalla famiglia e dalla scuola.


Note
1) La fondazione prende il nome dal magistrato Gaetano Costa, ucciso dalla mafia.

Bibliografia

Bevacqua, L., (A.A. 2010/2011), Bullismo: strumenti di prevenzione dell’operatore sociale, Università di Pisa
Cecchini S., Princiotta E.,(1992/1994), “Relazione delle A.A.S.S. Susanna Cecchini ed Eloisa Princiotta vincitrici delle Borse di Studio biennio 1992/1994” in Fondazione Costa, G., (a cura di), (1997), Interventi di prevenzione della devianza minorile. Relazioni attività svolta dagli assistenti sociali vincitori delle borse di studio bandite dalla Fondazione nei bienni 1992/94-1994/96, Palermo

Goleman D., (2008), Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Rizzoli, Milano