Stava correndo la terza parte della notte (quell’arco di tempo che va da mezzanotte alle tre del mattino), quando la dea dell’amore, Venere, mandò un sogno alla giovane principessa Fenicia Europa: è l’ora in cui viene condotta al pascolo la schiera dei sogni veritieri, come precisa lo stesso autore greco Mosco nel secondo idillio dei poemi pastorali (che riguarda, appunto, la vicenda del mito di Europa). Infatti, l’ingenua fanciulla, come presagio di quanto stava per accaderle, sognò di essere contesa da due donne: una era Asia, personificazione della propria terra d’origine, e l’altra era una signora ancora senza nome, personificazione del continente europeo; quest’ultima aveva i lineamenti di una occidentale e tirava a sé la principessa con più forza, reclamando, nel contempo, un legittimo diritto di proprietà sulla fanciulla perché le sarebbe stata offerta in dono dallo stesso Zeus.
Il giorno seguente, infatti, Europa sarà rapita dal padre degli dei in persona (che, per celare la propria essenza divina, assunse la forma di un toro), verrà portata sull’isola di Creta e, dopo l’amplesso divino, oltre a generare una stirpe di eroi, darà il proprio nome a un intero continente: l’Europa.

Un sogno simile al vero, probabilmente alla stessa ora della notte, sconvolse anche il riposo di Nausicaa, principessa dei Feaci (nel sesto libro dell’Odissea). Atena, preoccupata per la sorte di Ulisse (infatti l’eroe stava facendo rotta proprio in direzione dell’isola dei Feaci), durante la notte, come un soffio di vento, volò verso il letto della fanciulla, assunse la forma di un’amica, si fermò sopra il suo capo e le parlò. Così il giorno seguente Nausicaa, già avvertita dalle parole della dea, mentre si dirigeva verso il lido a lavare i propri abiti, incontrò il profugo Ulisse e lo accolse nel proprio regno, non senza innamorarsene.

Di ben altra pasta erano, invece, i sogni di Meleagro (forse perché si verificavano a ben altre ore della notte). Infatti, il poeta greco, in uno dei suoi epigrammi, sembra provare un certo piacere nel ricordare la visione della notte precedente: una bella fanciulla diciottenne che rideva dolcemente, coperta solo del mantello; tuttavia, mentre, tra le nebbie del sonno, il sognatore cercava di allungare le mani per abbracciarla e stringerla al suo petto, la visione svaniva lasciando al povero Meleagro solo un tiepido ricordo e un forte desiderio (a onor del vero, però, va precisato che, al di là della mia personale e più casta interpretazione, la visione descritta da Meleagro nell’epigramma AP 12, 125 consisteva in un ragazzino diciottenne e non in una ragazza); la delusione provata al risveglio, però, provava che il sogno del poeta (purtroppo per lui) non era così veritiero come quelli di Europa o di Nausicaa.

Il momento, o meglio, l’ora della notte in cui il sogno prende forma, condensandosi nella mente delle persone ha un’importanza rilevante non solo per la letteratura, ma anche per la psicologia: in tempi più recenti, infatti, gli studi psicoanalitici hanno dimostrato che sono necessari circa 90 minuti perché un uomo, addormentandosi, possa piombare in una fase di sonno profondo in cui, in uno stato di completo isolamento della mente dall’ambiente esterno, la schiera dei sogni veritieri (per usare le parole di Mosco), pascolando, si presenta alla mente degli uomini.

Calcolando che in media, oggi come duemila anni fa (quando vennero scritti i componimenti sopra riportati), una persona comune si mette a letto in quell’arco di tempo che va dalle 22 alle 23, trascorsi i 90 minuti necessari per giungere in quelle fase di sonno in cui è possibile sognare, è possibile affermare che il momento in cui la maggior parte delle persone sogna è quello compreso tra mezzanotte/l’una e le tre/le quattro del mattino.
Ovviamente per sogni veritieri, al di là delle metafore poetiche e alla luce dei recenti studi psicologici, non possiamo che intendere quella serie di proiezioni provenienti direttamente dal nostro inconscio e che rappresentano per lo meno la realtà delle nostre paure e dei nostri desideri, i quali, però, seppur non predicono il futuro, possono almeno permetterci di conoscerci meglio.