C’era una volta una povera vedova che viveva in una piccola capanna e davanti alla capanna aveva un piccolo giardino con due rosai, uno portava rose bianche e l’altro rose rosse. E la donna aveva due bambine che somigliavano ai suoi piccoli rosai: l’una si chiamava Biancaneve, l’altra Rosarossa. Erano così buone, diligenti e laboriose come al mondo non se n’è mai viste, soltanto Biancaneve era più silenziosa e più dolce di Rosarossa. Rosarossa preferiva correre per campi e prati, coglier fiori e prendere farfalle; mentre Biancaneve se ne stava a casa con la mamma, l’aiutava nelle faccende domestiche o, se non c’era niente da fare, le leggeva qualcosa ad alta voce.
Le due bambine si amavano tanto che si prendevano per mano tutte le volte che uscivano insieme, e se Biancaneve diceva: “Non ci separeremo mai!”, rispondeva Rosarossa: “No mai, per tutta la vita!” e la madre aggiungeva: “Quel che è dell’una, dev’essere dell’altra.”
Una sera d'inverno, mentre se ne stavano tutte e tre insieme, qualcuno bussò alla porta, come se volesse entrare. La madre: “Svelta Rosarossa, apri. Dev’essere un poverello che cerca riparo.” Rosarossa andò ad aprire e pensava fosse un povero, ma invece era un orso che sporse dall’uscio la sua grossa testa nera. Rosarossa strillò, ma l’orso si mise a parlare: “Non abbiate paura, non vi farò nulla di male, sono mezzo gelato e voglio solo scaldarmi un po’ con voi.” “Povero orso!” Disse la mamma “Mettiti vicino al fuoco e sta’ solo attento a non bruciarti il pelo.” Poi gridò: “Biancaneve, Rosarossa venite fuori! L’orso non vi farà niente, non ha cattive intenzioni.”
Non passò molto che fecero amicizia ed iniziarono a giocare insieme, l'orso tornò ogni sera alla stessa ora. Quando giunse la primavera, una mattina l’orso disse a Biancaneve: “Adesso devo andar via, e per tutta l’estate non posso più tornare.” – “Dove vai dunque caro orso?” domandò Biancaneve “Devo andare nel bosco a difendere i miei tesori dai nani cattivi: d’inverno, quando la terra è gelata, devono starsene sotto e non possono farsi strada, ma adesso che il sole ha riscaldato la terra, aprono, risalgono, frugano e rubano.”
Dopo qualche tempo, la madre mandò le bambine nel bosco a raccogliere fiori. Fuori videro, disteso al suolo, un grande albero che era stato tagliato e presso il tronco, qualcosa saltava su e giù. Avvicinandosi videro un nano con la faccia rugosa e una candida barba lunga. La punta della barba era incastrata sotto l’albero e il nano saltava di qua e di là per liberarsi.
Biancaneve tirò fuori dalla tasca le sue forbicine e gli tagliò la punta della barba. Appena il nano si sentì libero, afferrò il suo sacco pieno d’oro e se ne andò borbottando “Che maleducate, tagliarmi un pezzo di barba! Il diavolo vi porti!”
Dopo qualche tempo, Biancaneve e Rosarossa vicino al ruscello videro il nano: la barba gli si era intrecciata con la lenza, subito dopo un grosso pesce aveva abboccato e trascinava giù il nano. Le fanciulle tirarono fuori le forbicine e tagliarono un altro pezzettino di barba. A quella vista il nano si mise a strillare “E’ questa, brutti rospi, la maniera di rovinare la faccia a qualcuno?!” Poi andò a prendere un sacco di perle e senza dir altra parola, se lo trascinò via.
Le due bambine qualche tempo dopo videro che un’aquila aveva preso il nano e cercava di portarlo via. Le bimbe pietose tennero stretto l’omino e alla fine l’aquila dovette mollare la presa. Quando il nano si fu ripreso dallo spavento, gridò con la sua voce stridula: “Non potevate trattarmi meglio? Avete tirato tanto il mio giubbetto che si è tutto rotto!” Poi prese un sacco di pietre preziose e si nascose di nuovo nella sua tana. Le fanciulle erano abituate alla sua ingratitudine, proseguirono il cammino. Al ritorno, sorpresero il nano che aveva rovesciato il suo sacco di pietre preziose. Il sole del tramonto batteva sulle splendide pietre che scintillavano di mille colori. All'improvviso dal bosco saltò fuori un orso nero. Il nano balzò in piedi e disse: “Caro signor orso, risparmiatemi! Vi darò tutti i miei tesori!” Ma l’orso non badò alle sue parole e gli tirò una zampata.
Le fanciulle erano scappate via, ma l’orso le chiamò gridando: “Biancaneve, Rosarossa, non abbiate paura!”Allora le bambine riconobbero la sua voce e si fermarono,e quando la bestia le raggiunse, la sua pelle d’orso cadde all’improvviso. Ed ecco, egli divenne un bel giovane tutto vestito d’oro. “Sono il figlio del re” Disse “il perfido nano aveva rubato tutti i miei tesori e mi aveva trasformato in un orso!”
Biancaneve sposò il principe e Rosarossa suo fratello, e si spartirono il tesoro che il nano aveva rubato. La vecchia madre visse ancora con loro per molti anni, tranquilla e felice. Ma aveva portato con sé i due rosai che ogni anno dava loro le più belle rose, bianche e rosse. - Jacob e Wilhelm Grimm

Un’interpretazione della fiaba secondo la psicologia del profondo.

Questa fiaba, pur essendo un classico dei fratelli Grimm, si distacca dalla loro tipica atmosfera ambigua, con tratti di paura e crudeltà. Biancaneve e Rosarossa si apre in un clima di totale tranquillità: le due bambine si vogliono bene, vanno d’accordo e collaborano con la mamma, sono legate da un affetto profondo e vivono in totale armonia con la natura. Nella loro casa sono sicure, ma anche fuori non corrono pericoli.
Nel loro essere così diverse eppure così profondamente legate, le due sorelle incarnano la
metafora del susseguirsi delle stagioni, fasi del ciclo naturale e della vita umana. Biancaneve rappresenta l’inverno, già il suo nome richiama il freddo e le immacolate distese innevate dove regna il più perfetto silenzio; mentre la natura si riposa, nelle case ci si dedica alle faccende domestiche e alle letture vicino al camino, non a caso le attività preferite di Biancaneve.
Sua sorella invece ama correre, raccogliere fiori e stare a contatto con la natura; Rosarossa simboleggia l’estate col suo calore e la sua spensieratezza, il momento in cui il creato si risveglia e dona i suoi frutti. Il nome Rosarossa diviene così facile da scomporre e ricongiungere ai fiori
della primavera ed al rosso dei frutti maturi d’estate, colore del sangue, della vita e dell’amore.
L’elemento di unione tra le bambine è sicuramente la madre, che con la battuta “Quel che è dell’una, dev’essere dell’altra” esplicita l’indissolubileinterdipendenza tra i due aspetti dell’esistenza. Essa rappresenta la Madre Terra, un clima di fiducia e protezione che non necessita dell’elemento maschile per generare i suoi figli (assenza del padre nella fiaba). La madre di Biancaneve e Rosarossa simboleggia la natura che veglia sulle sue creature e garantisce il rinnovarsi delle stagioni, una natura nutriente, accogliente ed amorevole. Per quanto paradisiaco quest’equilibrio non è però esente da scosse e crisi, spaventose quanto necessarie al passaggio da uno stadio all’altro. Nella fiaba le vicissitudini delle bambine simboleggiano le difficoltà del transito tra una stagione e l’altra dell’esistenza, tra la calma sicurezza dell’infanzia e l’impeto dell’estate. Così come la natura soffre del brusco passaggio tra ghiaccio e sole, così Biancaneve e Rosarossa devono affrontare nuovi timori per poter raggiungere la maturità, primo fra tutti l’arrivo dell’orso.
Non è un caso che l’idillio presentato all’inizio della storia improvvisamente si interrompa: la totale assenza di paura era necessaria nella prima fase di vita delle protagoniste, poiché solamente una completa fiducia nell’aspetto materno del mondo poteva garantirne uno sviluppo armonico.
Ciò che si legge nell’incontro tra Biancaneve, Rosarossa e l’orso è proprio questa capacità dell’aspetto materno introiettato di scogliere le paure del passaggio alla vita adulta.
Siamo in inverno, fuori nevica e le tre donne sono davanti al camino; è la stagione di Biancaneve, quella dell’infanzia, della purezza e del pudore e così come la natura si prepara a rinascere, così le due bambine sono pronte a divenire donne. L’avviso è dato proprio dall’orso che bussa alla porta e non è una casualità che sia Rosarossa ad aprirgli: il suo colore è il rosso e la sua stagione è l’estate; questo colore può rappresentare il menarca e la maturità sessuale, ma anche il calore dell’amore di coppia, differente da quello materno e fraterno.
L’orso simboleggia l’irruzione dell’uomo nella triade femminile; la scoperta della sessualità impone l’incontro col polo opposto e questa necessità si presenta improvvisamente alla porta senza avvisare. Il fatto che l’uomo arrivi sottoforma di animale sottolinea la natura istintuale delle sessualità, laddove la psiche è solita rappresentare gli istinti proprio con immagini di animali selvaggi. L’orso incarna in questa veste il futuro amante, anche se le bambine non possono ancora vedere il principe
L’arrivo dell’animale genera una prima reazione di paura, ma dalla sua stessa voce scopriamo subito che non ha cattive intenzioni; l’unica a restare tranquilla è la mamma che anzi, invita lui ad entrare e le bambine a venir fuori per incontrarlo. L’importanza di questa scena è fondamentale poiché determina tutto il corso della fiaba: se nel timore iniziale le bambine avessero seguito l’istinto di lasciar fuori l’orso, quest’ultimo sarebbe rimasto fuori al freddo fino a congelarsi. Il gelo dell’animale avrebbe rappresentato l’esclusione della sessualità dall’Io delle bambine, condannandole ad una vita di ferrea moralità, frigidità e terrore.
L’elemento chiave della scena è la madre, colei che consente il pacifico incontro tra le bambine e l’orso. Affrontando l’animale senza paura si scoprirà che non ha alcun intento divorante, bensì diverrà compagno, amico e difensore. Biancaneve e Rosarossa iniziano spazzolando il pelo dell’orso e finiscono per instaurare una relazione duratura, fino al matrimonio.
L’iniziale aspetto giocoso di questo rapporto sottolinea la natura “libera” della scoperta sessuale, senza regole troppo ferree e con continui avvicinamenti/distacchi fino al raggiungimento del giusto equilibrio.
Il passaggio all’adultità non è tuttavia un percorso lineare. Con l’arrivo dell’estate l’orso è costretto a tornare al suo habitat naturale lasciando le bambine in casa della madre. Questo momentaneo allontanamento segna un momento di stasi in cui Biancaneve e Rosarossa devono liberarsi definitivamente degli atteggiamenti infantili. E’ in questo frangente che compare il personaggio del nano.
Questo piccolo essere è legato sia alle protagoniste che all’orso. Si scopre infatti alla fine della fiaba che è proprio il nano l’artefice della maledizione che costringe il principe alle sembianze animalesche. In tal senso l’antagonista simboleggia proprio lo spirito dell’infanzia, quella disposizione del Sé che respinge la sessualità ad uno stadio puramente istintuale. Il nano rispecchia difatti la mancanza di una vera morale ancora non sviluppata nei bambini, sostituita da una paura di tipo sociale. Ecco perché la sua principale preoccupazione pare essere quella di “salvare la faccia”: è sempre insoddisfatto, non accetta critiche, sempre invidioso ed inaccessibile all’amore. In questo comportamento si intravedono le possibili conseguenze di una prolungata permanenza nell’infanzia, in uno stato di dipendenza e di pudore malsano. L’Io-bambino diviene dispettoso ed interferisce nel cammino delle protagoniste durante il loro distacco dalla casa materna.
L’elemento in primo piano durante gli incontri col nano è la sua lunga barba bianca. Il bianco si ripresenta nuovamente come simbolo dell’infanzia, ma questa volta, legato alla vecchiaia e alle rughe del nano, simboleggia la condizione, ormai obsoleta, dell’Io. Biancaneve e Rosarossa hanno bisogno di tagliare definitivamente il legame con questa parte arcaica per poter trovare il principe. Ecco perché Biancaneve non ha altro modo di liberare il nano se non con le forbici. La reazione del vecchio è giustificata, mentre è più significativa è quella delle protagoniste, le quali di fronte alla maleducazione del nano, rispondono con tranquillità e senso dell’umorismo. Alla base di un simile comportamento c’è quella stessa fiducia, in sé e nella madre terra, che ha permesso alle bambine di giocare con l’orso senza averne paura.
La coscienza infantile rimane in vita nonostante i “tagli” fin quando non interviene l’orso. Nano ed orso sono legati dalla maledizione e si combattono a vicenda poiché rappresentano aspetti autoescludenti dell’Io.
Fortunatamente l’animale e le bambine sono già amici, l’orso selvaggio è stato addomesticato ed i suoi impulsi sono stati sostituiti da un amore adulto, pronto ad accogliere le donne che Biancaneve e Rosarossa sono diventate. Basta un’ultima zampata al nano e le protagoniste sono libere, così come il principe. Il passaggio alla maturità consente a Rosarossa e Biancaneve di poter finalmente vedere le vere sembianze del maschile, non più selvaggio e spaventoso, ma bello e coperto d’oro. La tappa conclusiva è quindi quella del matrimonio, simbolo di integrazione delle varie parti del Sé, conclusione di un sano percorso di crescita. Come in tutte le fiabe questo momento non viene raccontato, così come non viene descritto l’aspetto del consorte; sono aspetti poco importanti, ciò che conta è che tutto sia andato bene.
La presenza della madre in tutta la storia, anche dopo il matrimonio, è un’ulteriore rassicurazione: i bambini dipendono dalle figure genitoriali e hanno bisogno di credere che non resteranno mai soli per sviluppare una sana fiducia nelle proprie capacità. Qualsiasi difficoltà dovranno affrontare, non perderanno mai l’amore e l’appoggio dei loro genitori, anche quando questi ultimi non saranno presenti fisicamente, ma solo come positive introiezioni.