La fiaba, tratta dalla versione offerta da Italo Calvino nella raccolta Fiabe Italiane (1), è la storia di Giovannino, un ragazzo tanto audace e coraggioso da girare il mondo tutto solo senza farsi problemi di sorta, finché un giorno non gli capita di affrontare la più eroica delle prove: passare una notte intera nel famigerato palazzo dal quale nessuno è mai più uscito vivo. La sfida avrebbe impaurito chiunque, ma non certo il giovane protagonista della storia il quale, senza pensarci due volte, prende un lume, un fiasco di vino ed una salsiccia e va a ricoverarsi nella sala da pranzo del palazzo. A mezzanotte, quando è nel bel mezzo del suo convivio solitario, sente una voce sconosciuta irrompere nella stanza e domandare : “Butto?”. Giovannino, senza batter ciglio, annuisce a tono: “E butta!” risponde; e dal camino scende giù niente di meno che una gamba umana. Il ragazzo non si scompone minimamente di fronte al terrificante spettacolo e prosegue a bere e mangiare; così la voce continua a tuonare dalla canna e gli arti umani seguitano a piombare giù nel focolare, fino a che tutti i macabri pezzi si ricompongono nel corpo di un orribile gigante. La creatura a questo punto comincia ad impartire ordini al giovane intimandogli di fare strada e di scendere giù nel sottoscala del palazzo. Giovannino però non si lascia affatto intimidire, prende in mano la situazione ed incalza l’omone affinché vada per primo e, senza esitare, lo segue rischiarandosi il cammino col lume della candela. Il coraggio del protagonista è alla fine ben ripagato: infatti, dal sotterraneo, il gigante porta fuori tre marmitte piene zeppe d’oro e, una volta tornati nella sala, annuncia a Giovannino che l’orribile incantesimo è ormai spezzato e che può tenersi il palazzo. Quando la mattina dopo arrivano i becchini per portare al cimitero il malcapitato ospite del castello, questi rimangono esterrefatti nel vederlo tranquillamente affacciato alla finestra a fumare la pipa. Così finisce la storia di Giovannin senza paura che vive ricco e felice nel suo palazzo fino a che un giorno non muore stecchito, spaventato dalla sua stessa ombra.

Interpretazione
La storia edita da Calvino presenta gli elementi tipici della fiaba infantile, genere ‘perpetuato attraverso una tradizione più umile e familiare, con caratteristiche che si possono sintetizzare nelle seguenti: tema pauroso e truculento, particolari scatologici o copro laici, versi intercalati alla prosa con tendenza alla filastrocca. Caratteristiche in gran parte opposte a quel che sono oggi i requisiti della letteratura infantile… La morale della fiaba è sempre implicita, nella vittoria delle semplici virtù dei personaggi buoni e nel castigo delle altrettanto semplici e assolute perversità dei malvagi; quasi mai vi s’insiste in forma sentenziosa o pedagogica. E forse la funzione morale che il raccontar fiabe ha nell’intendimento popolare, va cercata non nella direzione dei contenuti ma nell’istituzione stessa della fiaba, nel fatto di raccontarle e d’udirle” (2).
È facile entrare nell’atmosfera di questa fiaba, è un gioco da ragazzi: basta immaginare un focolare, una vecchia poltrona e un narratore maturo che racconta ai nipoti la terribile storia di ″Giovannin senza paura”. Si può partecipare al terrore che la voce infonde nell’animo dei piccoli uditori quando descrive il fischiare delle canne all’esterno del palazzo e pronuncia le terribili parole: “Butto buttio, butto giù nel nome di Dio! E butupum dal camin vien giù una gamba”. La sicurezza del nido familiare, il calore di quell’intimità viene spezzato dalla gelida paura che irrompe nel cuore dei ragazzi, ma viene tuttavia ricostituita nel lieto fine della storia. La figura del saggio pater familias racconta dunque ai ragazzi ciò che nel mondo c’è di terrificante, di brutale, cattivo e mostruoso; d’altra parte però è sempre attraverso tale figura che i ragazzi trovano il coraggio e la fiducia nella vita attraverso l’esperienza iniziatica del racconto.
Non a caso la storia si conclude con l’immagine di Giovannino che, affacciato alla finestra, guarda tranquillo il mondo esterno fumando la pipa, sintomo del passaggio all’età adulta. Il ragazzo, partendo dal focolare è riuscito a conquistare l’intero palazzo grazie al suo coraggio; in più ha ottenuto come premio non una, ma ben tre marmitte piene d’oro (tale ridondante ricchezza è sintomatica della tendenza alla moltiplicazione degli elementi e all’accumulo, tipica della tradizione orale popolare). Il numero tre è privilegiato anche per quanto riguarda gli oggetti portati con sé dal protagonista come ausilio alla eroica impresa: una candela, una bottiglia di vino e una salsiccia, che espletano una funzione tanto narrativa quanto simbolica: il bere ed il mangiare rafforzano il corpo di Giovannino, mentre la candela gli fa da luce-guida nella discesa dei sotterranei meandri del palazzo, confortandone lo spirito. La principale virtù sulla quale verte la fiaba è senza dubbio la forza d’animo e la fiducia in sé stessi: non a caso il protagonista vive in fortuna e felice fino a che non si spaventa della sua stessa ombra e muore stecchito all’istante.
Questa fiaba infantile, tanto lontana dalle storie moderne, è, a mio avviso, un valido esempio di iniziazione alla paura, mista di funzione apotropaica e infusione di coraggio, che mira ad arricchire il giovane pubblico dando un sostegno nell’affrontare la pienezza della vita, ad avere coscienza del lato brutale delle cose, andando al di là del candido tepore del focolare famigliare.


Note:
(1) I. Calvino, Fiabe italiane, volume I, Oscar Mondadori, Milano, 2011, pp. 3-5.
(2) I. Calvino, idem, Introduzione XLVI.


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