Il profilo di orientamento temporale di un individuo non è innato, ma è frutto dell’interiorizzazione del ritmo di vita della comunità cui appartiene e degli atteggiamenti mutuati nei luoghi educativi e sociali. Se l’atteggiamento nei confronti del tempo può cambiare, allora è possibile ristrutturare il sistema cognitivo deputato all’interpretazione del proprio tempo di vita, affinché sia un tempo più felice. La domanda a cui si tenterà di dare risposta è: in che modo il nostro rapporto col trascorrere del tempo influenza il raggiungimento dei nostri obiettivi?

Ad un primo livello d’analisi tempo e felicità sono in lotta e pare che sia l’orologio ad avere la meglio. Un obiettivo, ossia la formulazione consapevole di un proposito, possiede per sua natura uno sfasamento temporale: nasce adesso e si realizza poi. Poniamo che il nostro obiettivo sia quello di scrivere un articolo, impegno che richiede cinque giorni di lavoro, potendogli dedicare solo due ore la sera. L’idea di veder pubblicato il nostro articolo ci rende orgogliosi e felici, giustificando in un primo momento il sacrificio di rinunciare alle due ore serali. Si dà il caso, tuttavia, che la quotidianità sia ricca di tentazioni e che noi possediamo un certo numero di bisogni che richiedono di essere immediatamente soddisfatti. Arrivati a casa dal lavoro troveremo un divano comodo, pronto a soddisfare il nostro bisogno di riposo, e una televisione, che sicuramente starà trasmettendo un programma di nostro gradimento. La prossimità delle tentazioni, unita alla forza del desiderio o bisogno da soddisfare, rende davvero difficile mantenere l’impegno di scrivere l’articolo, nonostante quest’ultimo possieda in sé un potenziale gratificante maggiore. Ci troviamo, in altre parole, di fronte alla difficile decisione di rimandare la gratificazione immediata in nome di una soddisfazione maggiore futura. Il fattore tempo, purtroppo, ci spinge a compiere la scelta meno opportuna, accentuando la rilevanza dei costi presenti a discapito di quelli futuri. In generale, consideriamo gli obiettivi e le preoccupazioni del domani in termini vaghi e indistinti e vediamo concretamente quelli di oggi.
L’esempio riportato, come qualsiasi altro caso di tendenza alla procrastinazione, risponde alla seguente equazione, teorizzata in ambito comportamentista e perfezionata da Piers Steel (2011):

ASPETTATIVE X VALORE
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RITARDO X IMPULSIVITA'

Al numeratore troviamo la teoria dell’utilità attesa, secondo la quale prendiamo le decisioni moltiplicando le aspettative, cioè la probabilità che si realizzi l’evento, con il valore, ossia con l’importanza della ricompensa. Nel nostro caso consideriamo probabile che venga pubblicato l’articolo, il che denota un buon livello della nostra autostima, e reputiamo maggiore la ricompensa che potrà derivarne rispetto ad impieghi alternativi del nostro tempo libero.
Il denominatore è composto da ciò che, finora, può essere considerato come il nostro nemico. Il ritardo è la componente oggettiva del tempo e corrisponde alla scadenza di cinque giorni per concludere l’articolo. Il versante soggettivo è dato dall’impulsività, coefficiente che incrementa o decrementa gli effetti del ritardo, determinando la forza con la quale resisteremo alle tentazioni.
Il grado di impulsività ha una radice neurofisiologica e risiede nell’interazione fra sistema limbico e corteccia prefrontale. Come nel mito della biga alata di Platone, le nostre scelte sono l’esito di un rapporto, spesso conflittuale, fra il sistema deputato alla pianificazione, all’autocontrollo e all’elaborazione di concetti astratti (corteccia prefrontale) e quello non accessibile alla coscienza, sede delle emozioni e fonte del piacere (sistema limbico). Quest’ultimo risulta essere il sistema più potente, quello che si è evoluto per primo, tanto da essere simile fra le varie specie, essere umano compreso. La corteccia prefrontale, invece, ha una storia più recente e si sviluppa completamente in tarda adolescenza, a dimostrazione della regola che l’ontogenesi ricapitola la filogenesi. Perché, allora, in un mondo che ci richiede lungimiranza e pazienza ci siamo evoluti per reagire nell’immediato soddisfacendo i nostri istinti? Perché siamo anacronismi viventi, programmati per avere successo in un mondo antico, pericoloso ed incerto; insomma, la nostra fisiologia non è al passo coi tempi.

Combattere questo sfasamento cronico fra desideri e realtà, significa imparare a proteggersi dalla spinta edonistica della gratificazione immediata. Ecco finalmente una buona notizia: modificare il proprio atteggiamento nei confronti del tempo si può ed esistono tecniche per combattere la procrastinazione. Diverse indagini evidenziano i benefici derivanti da un atteggiamento positivo nei confronti del domani: chi pianifica e sa attendere pazientemente i frutti del proprio lavoro gode di maggior salute, è in grado di portare a termine i propri compiti, possiede buone capacità di problem-solving, guadagna di più e gode di maggior successo, sia a livello sociale che professionale (Zimbardo P., Boyd J., 2008).

Tornando all’equazione sulla procrastinazione, si tratta di depotenziare il denominatore per ottenere un risultato maggiore, riducendo gli effetti del ritardo grazie ad un abbassamento del livello di impulsività. In altre parole combattiamo il nemico del tempo oggettivo, che inesorabile non attende che si accenda il nostro desiderio di scrivere l’articolo, con il tempo soggettivo, che protetto sotto l’egida della corteccia prefrontale diviene nostro alleato.
Fra le tecniche proposte da Piers Steel (2011) due mi sembrano particolarmente adatte al nostro caso. La prima parte dall’assunto che è impossibile eliminare completamente le tentazioni, tanto che cercando di cancellare in modo consapevole un pensiero, contribuiamo a preservarlo. L’unica via di uscita è quella di procedere per fasi: prima dobbiamo cambiare l’ottica con cui vediamo il mondo, per allontanarci mentalmente dalle tentazioni, in seguito cambiamo il mondo che vediamo per eliminare o rinforzare gli stimoli esterni. Inizialmente, dunque, dovremmo preoccuparci di vedere le cose lontane come se fossero vicine e prendere distacco da ciò che è a noi prossimo, concentrandoci sui tratti astratti e simbolici degli oggetti che ci seducono. Questo sposterà l’equilibrio dal sistema limbico, dominato dagli stimoli, alla corteccia prefrontale, che tende all’astrazione e consente di effettuare scelte più ponderate. Quando torniamo a casa dal lavoro, la televisione, da scatola ricca di immagini e suoni coinvolgenti, si trasforma in uno strumento per la comunicazione di massa; il divano perde momentaneamente le sue caratteristiche di comfort per assumere esclusivamente gli elementi estetici di arredamento, rendendolo parte che si perde nel tutto.
Ora che abbiamo raggiunto la scrivania ignorando le lusinghe del soggiorno, sarebbe meglio preoccuparsi di trovare un modo per proteggerci in futuro dalle sollecitazioni esteriori che, per associazione, inducono la mente a divagare e a dimenticare il compito nel quale eravamo impegnati. Siamo giunti alla seconda fase della prima tecnica: cambiare il mondo che vediamo. Impariamo allora a conoscere ciò che ci distrae e cancelliamo gli indizi che lo richiamano (potremmo decidere di spegnere il cellulare ad un’ora precisa o chiedere al nostro convivente di nascondere il telecomando). Un luogo di lavoro disordinato, pieno di cose e disorganizzato è un campo minato, quindi provvediamo a riordinarlo tenendo a portata di mano solo l’essenziale che ci serve per lavorare. Dopo aver eliminato gli stimoli distraenti, colmiamo il vuoto rimasto creando una rete di segnali che ci aiuti a focalizzare l’attenzione sull’obiettivo principale. Lo stimolo che decidiamo di creare deve essere rilevante, cioè non generico: deve parlare proprio a noi.

La seconda tecnica, sfruttare la forza dell’abitudine, è probabilmente la più efficace. Si tratta di servirsi di una delle più potenti peculiarità del nostro sistema cognitivo: la creazione di automatismi, ossia di procedure già sperimentate che si attivano inconsapevolmente allo scopo di risparmiare tempo e risorse cognitive. Le abitudini sono facili da mantenere e si possono seguire anche quando si è esausti. Studi scientifici confermano che, quando svolgono un lavoro abitudinario, i procrastinatori sono efficienti come tutti gli altri (Steel P., 2011). Per avvalersi di una nuova routine, occorre dotare le nostre azioni dei requisiti di prevedibilità e ripetizione. Mantenete stabile il maggior numero possibile di variabili, in particolare lo spazio e il tempo: lavorando all’articolo sempre alla stessa ora e nello stesso luogo si creeranno associazioni evocative spontanee. Molto importante risulta tenere distinti lavoro e divertimento, tracciando linee di demarcazione nette. Potrebbe essere efficace inserire un rituale di transizione per facilitare il passaggio da un ambito all’altro, ad esempio concedendosi una tazza del proprio infuso preferito. Iterando la stessa sequenza d’azioni rafforziamo l’abitudine e creiamo l’automatismo.

Ora che abbiamo vinto gli effetti negativi del tempo, o meglio che abbiamo imparato a volgerli a nostro favore, è importante ricordare con Philip Zimbardo e John Boyd (2008) che adottare una prospettiva temporale a discapito delle altre è sempre dannoso, poiché una combinazione integrata degli orientamenti passato - presente - futuro è alla base di una vita gratificante. L’orientamento al futuro, seppur dominante nelle nostre economie, non deve tradursi a livello individuale in un atteggiamento estremo. Chi non valorizza l’esperienza percettiva giovandosi della gratificazione immediata dei sensi, rischia di essere insoddisfatto, perché in nome di una felicità che, forse, arriverà è pronta a sacrificare piaceri, riposo e affetti. Per questo è importante dedicare altrettanta energia per festeggiare i nostri successi e godere del nostro esistere qui ed ora, senza secondi fini.

Bibliografia:

Zimbardo P., Boyd J. (2008), Il paradosso del tempo. La nuova psicologia del tempo che cambierà la tua vita, Trad. it. (2009), Arnoldo Mondadori Editore S.p.a., Milano.

Steel P. (2011), Da domani non rimando più. Come smettere di rinviare le cose e iniziare a farle, Trad. it. (2011), Arnoldo Mondadori Editore S.p.a., Milano.