Il burattino simbolo di generazioni di bambini anima - ora, come più di un secolo fa - le fantasie e le menti di artisti, poeti, pensatori e lettori, giovani e non. Fin dalla sua prima edizione, nel 1883, quando la storia di Pinocchio nacque dal pugno di Collodi, le vicende del protagonista di legno riscossero un immediato successo, tanto che, ad oggi, innumerevoli reinterpretazioni del personaggio e delle sue vicende si sono susseguite in campo letterario, musicale, teatrale e cinematografico.

Ma cosa spinge ad una continua rilettura e revisione della storia di Pinocchio? Perché il mito del burattino dal naso lungo continua ad intrigare intere generazioni?

Pinocchio si manifesta come rivelatore di un'intrinseca condizione dell'essere umano: la menzogna.
Non solo, quindi, portavoce dell'infanzia, di fanciullezza caratterizzata da candida innocenza, spensieratezza e curiosità innata, ma anche, e soprattutto, simbolo di quel desiderio di "trasgressione" che è passaggio obbligato del percorso formativo di ciascuno.
Pinocchio mente, ma ad ogni bugia, capisce che tentare di sfuggire alle situazioni ed ai problemi con piccoli sotterfugi, il più delle volte non paga, anzi. Ed è da queste esperienze, anche negative, che spesso lo mettono in una situazione di pericolo, che il burattino animato cresce ed inizia ad affrontare gli ostacoli della vita con rinnovato coraggio, mutando, finalmente, in bambino vero.

La trasformazione fisica, da legno a carne, può essere letta come la rappresentazione metaforica del passaggio dall'infanzia all'età adulta, momento in cui le insicurezze giovanili dovrebbero essere abbandonate, per far posto ad una nuova presa di coscienza del sé. Pinocchio diviene quasi un parallelo dei personaggi di Charles Dickens, un, seppur fantastico, David Copperfield, o ancora, un fiabesco giovane Holden della penna di Salinger, che, durante la narrazione, si spogliano delle vesti di bambino-adolescente, per diventare figure adulte ed indipendenti, superando difficoltà ed avversità.

La storia di Pinocchio è monito, inoltre, per ricordare come dagli errori si possa sempre imparare, resuscitando a nuova esistenza, ricominciando a percorrere la propria strada con rinvigorita forza, autostima e maturità. Il burattino si connota, a mio parere, della note tipiche dell'eroe. Un eroe imperfetto, certo, ma maggiormente aderente al reale, grazie ad una personalità più complessa di come può apparire ad una prima lettura. Pinocchio non è un impavido guerriero, un buono per eccellenza, né un cavaliere senza macchia, ma, nella sua costituzione lignea è molto più umano rispetto a tanti stereotipi di personaggio positivo della letteratura. La sua è un'evoluzione quasi insperata, una scalata nei cuori dei lettori che ha dell'incredibile, e che tanto lo avvicinano ai piccoli, popolari - nel senso stretto di appartenenti al popolo - protagonisti di Cuore di De Amicis, romanzo guarda caso, pubblicato solo 3 anni dopo la prima stesura di Pinocchio. Un eroe di fine '800 quindi, che si avvicina inesorabilmente alle porte del Novecento, con le insicurezze, le paure, i conflitti e le nuove convinzioni che connotarono questo difficile secolo.

Non a caso è stato nominato il concetto di resurrezione, ricordando come nella prima edizione il burattino si impiccasse all'Albero degli Zecchini, una volta compreso di essere stato ingannato dal Gatto e dalla Volpe, e poi riportato in vita dalla Fata Turchina. Questa prima versione del romanzo venne però poi modificata dall'autore, sotto pressione degli editori stessi, che vedevano in quel finale, una tinta troppo macabra, soprattutto da destinarsi al pubblico giovane.

Pinocchio, a differenza di tante storie del passato, è e sarà sempre contemporaneo, perché almeno una volta nella vita, tutti noi ci siamo sentiti come lui. Abbiamo mentito, abbiamo temuto che gli altri si accorgessero delle nostre menzogne, quasi come se dovessimo manifestare segnali evidenti quali l'allungarsi del naso e, infine, siamo stati presi dal più o meno velato senso di colpa, proveniente da quel grillo parlante chiamato coscienza. È indubbio e assolutamente naturale: tutti gli uomini mentono, da piccoli per mascherare le marachelle o per sottrarsi alle eventuali punizioni dei genitori, e da adulti, soprattutto per giustificare i propri comportamenti negativi.

Purtroppo, a differenza di ciò che accade nelle favole, nella vita reale il finale si differenzia notevolmente, e se in Pinocchio la bugia diviene formativa, perché seguita dal tentativo di riscatto e redenzione, quotidianamente appuriamo che nella nostra società, questo spesso non accade, ed anzi, a bugie si sommano altre bugie, in un circolo vizioso che sembra non veder fine.