La logica ipertestuale, connettiva, reticolare, multi-sequenziale, si offre come terreno fertile se si intende coltivare quella “testa ben fatta” (e non ben piena), auspicata da Edgar Morin nella sua omonima opera sulla riforma dell’insegnamento e del pensiero.
È impossibile, infatti, non cogliere delle evidenti analogie tra la suddetta logica ipertestuale e le modalità connettive di pensiero connaturate nella mente umana.
La navigazione ipertestuale, strutturata attraverso nessi significativi, va ad innescare non solo il cosiddetto pensiero abduttivo, dunque, il pensare non gerarchico, ma anche la serendipità, ossia lo scoprire cose non cercate. Quest’ultima, sebbene sia dovuta in larga parte al caso, in realtà stimola la creatività ed offre nuovi input alla mente indagatrice (Paparella, 2007).
Morin afferma che l’educazione dovrebbe farsi carico della stimolazione di forme attive di pensiero: molto più rilevante di una mera e vacua accumulazione di sapere, si tratta dello sviluppo di un’attitudine a porre e trattare problemi di varia natura, collegare i saperi e dare loro un senso. Una testa ben fatta organizza le conoscenze interconnettendole ed ha in sé gli elementi propri di quella intelligenza detta métis: intuizione, sagacia, previsione, elasticità mentale Spesso, invece, l’insegnamento spegne il libero esercizio proprio di quelle facoltà insite nell’infanzia e nell’adolescenza, come la curiosità e l’attitudine indagatrice (Morin, 2000).
“La nostra civiltà e di conseguenza il nostro insegnamento hanno privilegiato la separazione a scapito dell’interconnessione, l’analisi a scapito della sintesi” (Ivi, p.19).
Morin parla appunto di un “insegnamento educativo”, capace di legare il pensiero, l’educazione e le istituzioni formative e di perseguire un’idea educativa di uomo che si realizza in un continuum formativo di auto-educazione. A tal proposito, Morin critica lo specialismo disciplinare incapace di vedere e cogliere le questioni globali umane. Invece, per comprendere e poter riflettere sulla complessità occore una relazione forte tra i soggetti in formazione, gli oggetti d’apprendimento e il contesto: occorre, dunque, recuparare l’attitudine ad una “intelligenza generale” (Annacontini 2008).
Si deve perciò puntare ad un insegnamento che faccia convergere tutto, verso un pensiero complesso e un’educazione alla complessità incentrata sul dialogo come riconoscimento della problematicità antagonistica del reale; sul pensiero strategico come competenza di riconoscere le caratteristiche contestuali specifiche e costruire ipotesi d’azione; sull’iniziativa responsabile degli esseri umani come agenti epistemici e trasformativi del reale; sulla conoscenza che porti al superamento della compartimentazione e della frammentazione del sapere (Ibidem).
I giovanissimi, sono naturalmente molto disponibili alla logica reticolare, in quanto la loro mente, diversamente da quella dell’adulto colto, non è ancora completamente e compiutamente “testualizzata” (Maragliano, 2000).
Occorre, perciò, puntare alla costruzione di un pensiero che interconnette, capace di trasformare le informazioni in conoscenza e di opporre ad una causalità unilineare e unidirezionale una causalità circolare e multireferenziale; in tali modalità di pensiero complesso, la logica classica viene sostituita da una di tipo dialogico, capace di concepire nozioni complementari e antagoniste (Morin, 2000).
Morin individua ed indica sette principi fondamentali che vanno a caratterizzare il pensiero che interconnette, quali, il principio sistemico ed organizzazionale, quello ologrammatico, il principio dell’anello retroattivo, dell’anello ricorsivo, dell’autonomia/dipendenza, quello dialogico e, infine, il principio della reintegrazione del soggetto conoscente nel processo di apprendimento.

Vediamoli brevemente:

1) Il principio sistemico ed organizzazionale: ossia la capacità di legare le parti al tutto (tendendo sempre presente che il tutto è più ma anche meno della somma delle parti);
2) il principio ologrammatico: il paradosso della complessità per cui il tutto è inscritto in ogni singola parte (per cui anche la società è presente negli individui);
3) dell’anello retroattivo: contro la logica della causalità lineare, ogni causa è anche effetto e viceversa;
4) dell’anello ricorsivo: gli uomini producono la società mediante le loro interazioni, ma la società in quanto globalità emergente produce l’umanità di questi individui portando loro il linguaggio e la cultura;
5) dell’autonomia/dipendenza, gli esseri umani sviluppano la propria autonomia dipendendo dalla cultura;
6) dialogico: l’unione di principi che a prima vista paiono elidersi a vicenda, o essere in completa antitesi: vita/morte; ordine/disordine ecc.;
7) della reintegrazione del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza: ogni conoscenza è una ricostruzione, una traduzione da parte di una mente/cervello in una data cultura e in un dato tempo (Ivi).
Tra questi, quello che forse maggiormente si ricollega al discorso sull’ipertestualità è l’ultimo, vale a dire il principio della reintegrazione del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza. Difatti, la strutturazione stessa dell’ipertesto prevede la partecipazione attiva del fruitore. Pertanto, utilizzato in ambito educativo, esso potrebbe condurre proprio a quella reintegrazione, auspicata da Edgar Morin, del soggetto conoscente nel processo apprenditivo.
A partire da tali concetti moriniani, Giuseppe Annacontini, indica come obiettivo e meta fondamentale di un’educazione rinnovata, la formazione di un pensiero che proprio attraverso la pratica dell’ “interconnessione”, diviene interrogante, multidimensionale, frammentario, ma sempre fondamentale e globale.

a. Un pensiero interrogante, perché l’interrogazione è una caratteristica fondamentale della relazione uomo-mondo (come anche la curiosità).
b. Un pensiero multidimensionale, perché in ogni sistema convergono tante dimensioni e, dunque, tanti piani interpretativi diversi.
c. Un pensiero frammentario, perché le logiche locali sono basilari: la conoscenza del tutto è illusoria senza la conoscenza delle parti e viceversa.
d. Un pensiero fondamentale e globale, perché il progredire dell’identificazione dei vincoli e delle emergenze locali richiede sempre un continuo slittamento, che a partire dalla parte tende inesorabilmente al tutto (Annacontini, 2008, pp. 173-175).

L’interattività cambia radicalmente la direzione del pensiero: di fronte ad un testo a stampa il pensiero viene interiorizzato e si ritira dal mondo, mentre “dentro lo spazio reticolare il pensiero e la sua virtualità esplodono nella direzione dell’esteriorizzazione, e non possono eludere il mondo” (Maragliano, 2000, p.167).
Oltre che ad un cambiamento di direzione, con l’imporsi delle nuove tecnologie si assiste ad una vera e propria rivoluzione semiotica e psicologica: “mutano le condizioni materiali della comunicazione e della conoscenza, ma assieme a queste e con queste, mutano le forme del sapere umano. Televisione e computer non sono semplici macchine, ma apparati di conoscenza, metafore di un nuovo regime mentale caratterizzato da fluidità, contaminazione, interattività” (Ibidem, p. VII).
Infatti, nello spazio della multimedialità, si fa continua esperienza di fenomeni come la contaminazione, l’uso di collegamenti e riadattamenti; in tal senso, nella multimedialità lo spazio mentale e quello immaginativo sono già multimediali perché attingono in ogni dove ed utilizzano i diversi materiali e collegamenti disponibili. È, anzi, possibile asserire che la reticolarità e la multimedialità sono caratteristiche insite nelle dinamiche più profonde ed elementari del conoscere e del sentire: esse sono proprie del senso comune, ma sono in grado di condurre a nuove forme di consapevolezza (Ivi).
In linea con tale possibile analogia tra le modalità di pensiero e il modus operandi delle nuove tecnologie, si pone la teoria simbolica dell’intelligenza artificiale che vede nel computer una sorta di rappresentazione o modello della mente umana. Senza dubbio, il computer possiede capacità che prima erano appannaggio esclusivo della mente umana, come, ad esempio, la risoluzione di problemi numerici o l’elaborazione autonoma di testi scritti (Bolter, 1993).
Tuttavia l’analogia tra gli aspetti della mente e le modalità proprie del computer, si basa soprattutto sulla constatazione che il computer è una tecnologia di scrittura e la scrittura è un aspetto importante della nostra idea di mente: se è vero che “scrivere è un modo per conoscere la propria mente, un vedere le manifestazioni della propria mente esteriorizzate sulla pagina” (Ivi, p.263), è indubbio che la scrittura elettronica, essendo libera dai tradizionali vincoli di scrittura, diviene forma immediata di pensiero.
Infatti, la naturale separazione netta tra lo spazio di scrittura e la mente dello scrivente è quasi annullata dalla capacità del computer di forgiare istantaneamente legami tra i pensieri dell’autore e il mezzo su cui scrive. Questo perché il nostro pensiero è una rete di segni interconnessi, e, dunque, in un certo senso simile alla rete interna di segni della macchina (Ibidem).
Scrivere è certamente un mezzo per riorganizzare, classificare, elaborare e conservare elementi. Ma, quando si pone su una qualsiasi superficie di scrittura ciò che si ha in mente, avviene anche un atto di proiezione, nel senso che il testo diviene estensione ed espressione della mente del soggetto che scrive. In tal senso, il computer, molto più efficacemente del testo a stampa riesce a riflettere la mente come trama interconnessa di elementi visivi e verbali: mentre con i libri stampati e le fotografie le nostre menti si strutturano come depositi di testi fissi e immagini statiche, nella rete elettronica la mente può esprimersi come una viva “rete pulsante di concetti” (Ibidem, p.270).
Detto questo, è quasi superfluo sottolineare che comunque, la scrittura ipertestuale non sta sostituendo il testo tradizionalmente inteso. Tuttavia, è impossibile non rilevare le potenzialità della logica reticolare ed aperta di cui è portatore: una logica che può ridimensionare le istanze di chiusura, pianificazione e dominio delle strategie testuali, in favore delle istanze di apertura, adesione personale e libertà espressiva (Maragliano, 2000).