Da uno studio condotto a Rotterdam, da alcuni psicologi dell’Università Erasmus e pubblicato sul Journal of Experimental Social Psychology , è emerso che paradossalmente facciamo meno fatica a scusarci quando in realtà non servirebbe. Questo perché chi si scusa, lo fa in genere perché si sente in colpa e dunque per azioni che non ha compiuto volontariamente. Se invece l’azione era volontaria, l’autore del torto pensa di aver agito correttamente e quindi non sente il bisogno di scusarsi.
Questo naturalmente è l’opposto di ciò che desidera la parte lesa: la vittima spera di ottenere delle scuse proprio per le azioni intenzionali, in quanto queste sono la garanzia che in futuro l’azione commessa non si ripeterà più.
E da qui, la difficoltà a mettere d’accordo le due parti in causa… L’equivoco sarebbe sanabile chiarendo i rispettivi punti di vista, ma questo non viene purtroppo quasi mai fatto: ciascuno si arrocca nella propria posizione senza riuscire a mettersi nei panni dell’altro.
Questa posizione egocentrica si osserva nel bambino, che va guidato alla scoperta dei sentimenti dell’altro: insegnando non solo a chiedere scusa, ma anche a tenere in considerazione ciò che provano gli altri in reazione a una propria (cattiva) azione, aiuta a maturare un senso morale che si poggia su solide fondamenta. Non una legge imposta dall’esterno (“Non devo… perché se no vengo sanzionato”) ma sentita come positiva (“Non devo… perché sento che così ferisco un'altra persona”)
Insegnare ai bambini ad avere un atteggiamento maggiormente empatico nei confronti degli altri significa aiutarli a comprendere non solo gli esiti dei propri comportamenti sul prossimo, ma anche i comportamenti degli altri, inclusi quelli non corretti o spiacevoli. Insegnare la tolleranza e la collaborazione non significa mostrarsi deboli, ma al contrario coltivare valori positivi che di questi tempi sembrano un po’ scarseggiare dalle nostre parti…




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