"T’amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d’accordo di andare molto cauti".

Sono queste le prime parole che nel romanzo “Senilità” di Svevo, il protagonista dell’opera, Emilio Brentani, rivolge alla propria amata; sono sempre queste le parole che ritornano alla mente del lettore ogni qualvolta l’amante intraprende un’azione nei confronti della propria donna, Angiolina.
Il termine senilità, ancora troppo vicino, nella radice, al latino senex, senis e, magari, poco comprensibile, se tradotto in parole povere, significa vecchiaia: è, infatti, la malattia dell’animo che Svevo sta cercando di descrivere nella propria opera, quella di una persona non vecchia d’età, ma di spirito. Tale stato d’animo renderà Emilio, che prova pure delle sensazioni forti come l’amore per Angiolina o l’affetto per la sorella Amalia, incapace di mettere in atto un’azione concreta per salvare la propria storia d’amore o per rendere felice e assistere la propria sorella fino agli ultimi giorni di vita di lei.
Brentani è un amante della calma e piatta quotidianità, infatti, paradossalmente, egli ritorna nella propria dimensione di benessere, quella con cui si è aperta il romanzo, solo quando, al termine di quest’ultimo, hanno fine gli eventi che hanno caratterizzato il filo narrativo della vicenda. È un uomo che subisce tutto ciò che gli accade intorno, sia esso bene o male, cercando di opporvisi solo con la propria razionalità e capacità di ragionamento. Del resto, se c’è una cosa che Emilio sa fare molto bene, è quella di elaborare qualunque cosa, sia essa un avvenimento o un sentimento, all’interno della propria mente fino a trovarvi non tanto una spiegazione, ma un punto morto, quello in cui tutto si ferma, persino i propri ragionamenti, ormai aggrovigliatisi tanto, da lasciare spazio solo al nulla. Brentani non si concederà mai pienamente a una passione o a un’ attività, infatti, imposterà persino la propria storia d’amore in modo tale che questa possa finire da un momento all’altro, come si evince, appunto, dall’esordio dell’opera.
Più che a una forma di inettitudine o di incapacità di vivere, se vista in funzione evolutiva, come poi la vedeva lo stesso Svevo, influenzato sia dalle ultime scoperte in campo psicologico che in campo genetico, il modo di vivere di Emilio potrebbe essere considerato come un meccanismo di autodifesa, prodotto dalla persona umana per adattarsi e avere la meglio nel processo di selezione genetica: io non mi affeziono e non mi lascio coinvolgere attivamente da nessuna cosa, neppure nell’amore, in modo tale che, qualora l’attività in cui mi sono cimentato non dovesse finire bene, non ne ricevo alcuna delusione, non sto male e non ho bisogno di tempo per tornare nuovamente a condurre la mia vita normale. Sembra proprio questo l’insegnamento che Emilio Brentani vorrebbe dare al lettore.
Ogni relazione, infatti, come ogni azione che si compie, implica, da parte di chi agisce, l’utilizzo di una certa dose di affetto, che è direttamente proporzionale al grado di coinvolgimento di colui che compie l’impresa. Allora, soprattutto nelle relazioni umane, in caso di delusione, di un finale inaspettato, come un tradimento o un abbandono, l’investimento, effettuato in termini di affetto, si trasforma in delusione e dolore.
Già nel vocabolario latino, prima, e in quello italiano, dopo, il termine affetto si rivela dotato di un significato ambivalente: se usato come sostantivo, infatti, ha una valore positivo e indica la natura di un sentimento, di un legame che lega tra loro due persone, se usato come aggettivo, invece, ha un valore negativo e indica colui che è stato colpito/affetto da una qualche malattia. Il verbo latino afficio da cui derivano il sostantivo e l’aggettivo affectus, significa ‘essere nella disposizione di fare qualcosa’, ‘essere intento a fare qualcosa’ e poteva essere usato sia in senso positivo che in senso negativo. Quindi l’affetto che, per dirla alla latina, è quella disposizione fisica o morale in cui si trova una persona, può essere positivo se giova, negativo se debilita. Non essendo, dunque, Brentani capace di distinguere quale forma di affetto possa condurlo a un esito positivo e quale, al contrario, a uno negativo, ne evita ogni forma.
Questo atteggiamento però, che può sicuramente avere i suoi vantaggi, soprattutto se valutato come un’efficiente meccanismo di autodifesa, ha anche i suoi effetti collaterali. È proprio così infatti che si rischia di andare incontro alla senilità, quelle vecchiaia d’animo che, seppur rende immuni dalle emozioni forti, appiattisce la vita dell’individuo.
Né l’arte, né l’amore, né l’amicizia, né gli affetti familiari durano a lungo in un animo che appiattisce ogni cosa sotto il peso della razionalità e della paura del futuro.

Senilità, Italo Svevo, 1898, Mondadori, Oscar Classici Moderni, 2001