Una coppia che decide di avere un figlio si trova in quella fase critica del ciclo vitale in cui si deve costruire lo “ spazio fisico e mentale” per un terzo: un impegnativo passaggio dalla diade alla triade.
Un figlio rappresenta la realizzazione di una delle massime aspirazioni di una coppia: un segno visibile della loro unione attraverso un atto creativo; l'opportunità di trovare un senso di appartenenza alla stirpe e di stabilire “ che cosa” delle famiglie di origine verrà continuato.
La nascita di un figlio, inoltre, costringe la famiglia ad un cambiamento nell'organizzazione familiare, creando una riconnessione tra presente, passato e futuro, collocando il figlio nel punto di intersezione tra due storie familiari.
Questi aspetti caricano l'evento di molteplici significati, investimenti e aspettative, che coinvolgono non solo la coppia ma l'intero sistema famigliare allargato. Tutti si sentono“ in attesa” di ricoprire nuovi ruoli: di genitori, di nonni, di zii, di fratelli o sorelle e così via. È questo un processo lungo e delicato, caratterizzato da una ridefinizione delle relazioni familiari.
Come il desiderio di un figlio pone i membri all'interno del sistema familiare in una condizione di “attesa”, la mancata generatività della coppia fa sentire sterile anche le diverse ramificazioni affettive di cui fa parte, minacciando la nascita di quei ruoli che un figlio avrebbe permesso.
In tal senso la sterilità biologica può essere considerata un evento paranormativo del ciclo vitale familiare, che richiede particolare riorganizzazione degli aspetti relazionali, sia all'interno della famiglia, sia all'interno del sistema trigenerazionale, per i particolari compiti emozionali cui il sistema deve far fronte.
A livello personale la sterilità biologica rappresenta una grave ferita all'identità psicologica, sociale e corporea, che implica una rinuncia definitiva alla realizzazione dell'ideale dell'Io e che può sfociare nella depressione, nell'impoverimento narcisistico e nell'annientamento.
Una donna non fertile si potrà sentire inutile o menomata, non vedendo realizzata una parte distintiva della propria identità femminile. La sua impossibilità di procreare la potrà portare a paragonarsi alla propria madre, vista come potente perché capace di generare, attivando nei suoi confronti atteggiamenti di rivalità o sentimenti di inferiorità.
Un uomo, invece, potrà sentire minacciata la propria potenza sessuale, da sempre associata alla capacità fecondativa.
Confrontarsi con il problema della sterilità significa fronteggiare qualcosa di imprevedibile, che si ritiene estraneo.
È il nostro corpo, la prima tessera della nostra identità, che, da amico con cui conviviamo e di cui ci prendiamo cura quotidianamente, ci tradisce. Le conseguenze di questo stato sono delusione, rabbia, disistima di sé, accompagnate da vergogna e sensi di colpa.
A livello di coppia, la diagnosi di infertilità mette a dura prova gli equilibri costruiti fino a quel momento, modificando i rapporti di forza interni ed esterni e minando la coesione.
La sterilità potrà essere vissuta dai membri della coppia come un tradimento del patto coniugale generando forti sensi di colpa da parte di chi si sente responsabile, oppure atteggiamenti proiettivi nell'altro/a per paura di offenderlo o di farlo sentire a disagio davanti agli altri.
Un'area che potrà inoltre subire profonde modificazioni nella relazione di coppia è quella sessuale. Partendo infatti dalla sua finalità procreativa, la coppia dovrà riscoprire la sessualità con il valore di reciproco scambio affettivo di piacere.
Se già in precedenza la sessualità non aveva questo valore autonomo, per la coppia il letto diventerà un luogo da evitare, in quanto evocatore di conflitti, rabbie delusioni.
A questi livelli, insomma, la sterilità biologica può rappresentare la “morte del desiderio”. Tale “morte del desiderio” può spingere la coppia sulla strada del “bisogno del figlio”.
La coppia si trova di fronte a un bivio: negare, evitare il problema o accoglierlo ed elaborarlo. È questa la fase della coppia nella quale i sistemi affettivi di appartenenza mettono le fondamenta per quella che sarà la relazione accogliente oppure evitante.
L'adozione, infatti, rappresenta di per sé la soluzione al problema della sterilità della coppia e la sua elaborazione concordemente considerata un passaggio indispensabile per la rinascita del desiderio.
Diventare genitori adottivi si fonda sull'esperienza di “ vuoto”, di privazione della gravidanza e dei processi psicobiologi ad essa collegati.
A volte è la donna a soffrire in modo particolare di questa mancanza. Quel bambino, originato dalle sue arcaiche fantasie infantili, immaginato successivamente come l'oggetto d'amore, frutto di una relazione più matura, non riesce concretamente a svilupparsi all'interno del suo corpo.
La procreazione affettiva si realizza nell'essere in grado di superare questa frustrazione e sofferenza, per iniziare a desiderare un figlio non nato da se stessi. Essa è resa possibile dalla presenza nella mente umana della capacità di riparazione, un meccanismo intrapsichico che interviene di fronte alle angosce distruttive e ai sentimenti di colpa, legati agli attacchi aggressivi verso l'oggetto d'amore, per dar loro una valenza positiva attraverso la sublimazione.
Questo processo si configura come un lutto vero e proprio, ossia come la reazione emotiva di fronte alla perdita di una capacità percepita da sempre come innata e legata alla decisione di renderla attiva attraverso l'atto sessuale.
Diventa molto importante il percorso psicologico della coppia, per affrontare sentimenti e conflitti connessi alla sterilità ed operare attivamente una scelta carica di ansie, legate non solo al presente e al futuro, ma anche nei confronti dell'antica inconscia proibizione edipica e alla trasgressione della sterilità. Solo in questo modo l'adozione può diventare una scelta integrata nel proprio mondo interno e relazionale e non un modo per aggirare l'ostacolo generativo residuo dell'evoluzione psicosessuale infantile.
Quello dell'elaborazione interna è un tempo difficile, caratterizzato da rabbia, sconforto, delusione e depressione: le domande: come e perché è successo proprio me? Mi sento diversa, vuota, in colpa… sono stata colpita in qualcosa cui tenevo molto.
Il limite si presenta in tutta la sua ineluttabilità dolorosa, e accettarlo significa aprirsi al cambiamento, alla ricerca di nuovi dimensione affettive genitoriali.
La scelta adottiva normalmente, giunge al termine di un lungo travaglio, pone la parola fine al lutto e apre uno scenario nuovo in cui le energie sono disinvestite dal piano biologico e poste al servizio della nuova creatività.
La coppia adottante vive la fase dell'attesa con una tensione carica di aspettative, preoccupazioni e speranze. Il modo in cui queste verranno vissute e affrontate sarà rilevante nel determinare la costruzione di atteggiamenti flessibili, accoglienti oppure difesi ed evitanti verso la scelta effettuata.
Una delle prime difficoltà in cui si imbatte una coppia che manifesta il desiderio di adottare un figlio è costituita dalla ricostruzione dello spazio mentale per il figlio che verrà, nel momento in cui se ne prefigura un'immagine.
Ma come si fa a immaginare un figlio di cui non si conosce niente?
Infatti, non solo non è possibile immaginare l'aspetto stesso, ma neanche l'età, la provenienza, il tipo di storia precedente; sapere se il bambino ha conosciuto i genitori naturali e i motivi che ne hanno determinato l'abbandono e la separazione.
Ridare vita alle fantasie, al desiderio delle aspirazioni permette alla coppia di ricostruire quello spazio di intimità, incontro, progettualità, che l'ostacolo dell’infertilità aveva congelato.
Spesso “l'immagine del bambino”, che si va delineando corrisponde più alle aspettative del futuro genitore adottivo che alla realtà. Ne consegue che il desiderio ricorrente durante l'attesa è quello di poter adottare un neonato con la motivazione che, in questo modo, il figlio si attaccherà più facilmente, non avrà sperimentato particolari sofferenze e l'esperienza adottiva sarà più simile a quella naturale.
In realtà il desiderio del bambino “ de-codificato” e “ de-storificato”, senza passato, spesso nasconde la paura della coppia a confrontarsi con la storia della paura che la famiglia naturale del figlio possa influenzare negativamente la futura relazione.
A volte l'adozione internazionale può essere considerata da parte della coppia come una soluzione per esorcizzare la paura, nell'illusoria speranza di potersi liberare del passato del bambino attraverso la distanza. La storia passata del bambino, invece, rappresenta una parte peculiare della sua identità, che non può essere cancellata, ma che il figlio adottato chiede di accogliere e integrare nel nuovo legame affettivo.
Il ciclo vitale della famiglia adottiva presenta, nelle sue diverse fasi critiche, alcune peculiarità che la contraddistinguono, differenziandola dalle altre famiglie.
Una coppia di fronte alla delusione della propria sterilità biologica genera attività affettiva accogliente per un figlio nato da altri.
Sia la coppia che il bambino intraprendono il viaggio dell'adozione.
Entrambi non hanno avuto la possibilità di realizzare un altro viaggio: il bambino non è potuto rimanere nel contesto affettivo in cui è nato, la coppia non ha potuto procreare un figlio. Anche se con intensità dolorose diverse, il bambino si è sentito privato di un legame reale e la coppia ha dovuto rinunciare a un'aspirazione naturale.
L'adozione è un incontro tra persone, è l'inizio di un percorso complesso e coinvolgente, all'interno del quale occorre che i protagonisti cerchino la propria storia e le proprie vicissitudini, le risorse e le energie perché diventi un cammino di crescita e non un muro freddo invalicabile, specchio inclemente della propria fragilità.
I ragazzi adottivi hanno un dolore troppo grande da dover smaltire e un vuoto profondo da riempire, da cui nasce la possibilità di un confronto, nella capacità di vedere l'altro quale egli è senza sovrapposizioni di illusioni e aspettative.




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