Da qualche anno sono coinvolta, in qualità di ricercatrice, in progetti finalizzati alla valorizzazione delle professioni tecnico-manuali che hanno l’intento di riscoprire il mondo dell’artigianato e soprattutto di comunicare ai giovani gli elementi di attrattività e di attualità di molti mestieri tradizionali [1].

In questi anni abbiamo incontrato e intervistato giovani produttori agricoli, giardinieri, pasticceri, panettieri, cuochi, macellai, sarti, fabbri, falegnami, orafi che ci hanno raccontato in cosa consiste il loro lavoro e che cosa è cambiato nel tempo, perché questi mestieri, per quanto artigianali, non sono più quelli di una volta. Culturalmente, infatti, persistono una serie di rappresentazioni stereotipate che inducono ad immaginare e valutare queste professioni come meno qualificate (e meno qualificanti).

In realtà, l’artigianato, oltre ad essere spesso un’opportunità occupazionale interessante (in termini retributivi e contrattuali), consente livelli di gratificazione e di empowerment il più delle volte ignorati o sottovalutati.
I racconti di questi giovani e appassionati artigiani mi hanno indotto a riflettere su molti aspetti della formazione del sé e dello sviluppo di competenze professionali. Tra le considerazioni che ricorrono più frequentemente vi è sicuramente il connubio inseparabile tra manualità e creatività che caratterizza profondamente il lavoro artigianale: indipendentemente dai materiali utilizzati e dal prodotto da realizzare, gli artigiani richiamano costantemente il gioco dinamico tra mano e testa come componente fondante dei propri processi di lavoro.

Realizzare un manufatto in legno o in metallo o in stoffa, preparare un dolce o una pietanza, contribuire alla crescita o alla manutenzione di una pianta richiede di certo l’applicazione rigorosa di procedure, ma contemporaneamente consente all’artigiano di esplorare, attraverso la creatività, nuove strade per risolvere un problema e ottenere il risultato atteso. Un fabbro intervistato ci ricorda, per esempio, che bisogna conoscere la geometria per fare il suo mestiere, mentre un giovane pasticcere ci dice che se non si conoscono le reazioni fisiche e chimiche degli ingredienti non si può ottenere un buon risultato. Ad ogni modo, per entrambi c’è sempre lo spazio per introdurre qualcosa di proprio e per “dare sfogo alla fantasia”.

Gardner afferma che è errato ritenere che esista qualcosa chiamata intelligenza, come fattore unitario misurabile attraverso un parametro numerico. Al contrario, essa è contraddistinta in una notevole varietà di forme raziocinanti e creative che rappresentano sette modi diversi di conoscere il mondo: linguaggio, analisi logico-matematica, rappresentazione spaziale, pensiero musicale, uso del corpo, comprensione degli altri e comprensione di sé. Ciò che distingue gli individui sono i modi con cui queste intelligenze sono chiamate in causa e combinate per portare a termine compiti e risolvere problemi. Ognuno di noi può sviluppare le diverse intelligenze se siamo messi in condizioni appropriate di incoraggiamento, arricchimento e formazione. Alla luce di questa consapevolezza, occorrerebbe superare il principio per cui tutti possono apprendere le stesse cose allo stesso modo: è necessaria un’apertura verso una più ampia gamma di esperienze formative in grado di tener conto della complessità della formazione umana.

La realizzazione di un prodotto o manufatto artigianale sembrerebbe un’importante palestra per la scoperta e il rafforzamento di molte di queste intelligenze. Forse, l’esercizio della manualità, potrebbe recuperare anche abilità oggi assopite, nell’era della smaterializzazione e informatizzazione del lavoro.

Il mondo dell’artigianato è anche, per molti intervistati, una buona palestra sociale, dove sperimentare le proprie abilità comunicative e relazionali: l’artigiano, oltre a produrre i propri manufatti, deve anche farli conoscere e apprezzare sul territorio, magari sfruttando le nuove tecnologie informatiche o i social network, deve acquisire e fidelizzare nuovi clienti, interpretare le loro richieste e negoziare con loro il risultato finale. Un giovane produttore agricolo ha parlato con grande professionalità delle necessarie competenze di management e marketing che oggi sono necessarie per orientarsi e affermarsi nel mercato locale e, magari, per lanciarsi anche a quello internazionale.

L’artigianato sembrerebbe quindi una buona opportunità per lo sviluppo di competenze professionali trasversali (fronteggiare e risolvere problemi, progettare e organizzare fasi di lavoro, comunicare e rapportarsi con gli altri, interpretare bisogni e richieste, presentarsi in maniera efficace, lavorare in gruppo), fondamentali per la formazione del sé.

A questo proposito, occorre precisare che il filo conduttore di tutte le interviste è sicuramente la passione, che rappresenta la principale motivazione al lavoro artigianale: i mestieri artigianali sono qualcosa di più di una semplice applicazione tecnica, ma comportano un forte coinvolgimento affettivo in ciò che si sta realizzando. La gratificazione principale nasce dal seguire il processo di lavoro dalla fase iniziale di ideazione fino alla contemplazione del proprio manufatto. Il prodotto finale è a tutti gli effetti figlio dell’artigiano, fonte e concentrazione di pathos, rappresentazione visibile e condivisibile di sé.


[1] Si tratta dei progetti “Ma guarda! Giovani e orientamento alle professioni” della Città di Torino e “Con le mie mani. I giovani in Rete per l’orientamento al lavoro” del Comune di San Mauro Torinese, finalizzati alla produzione di video rappresentativi di alcune professioni artigianali.