Perché l’Edipo?

La vicenda edipica, lungi dall’essere quella sorta di storiella trita e ritrita con cui si è voluto tradurre la complessità messa in luce da Freud, rappresenta, invece, propriamente una tragedia: ciò che si gioca qui è la destinazione del nostro desiderio, nonché una certa imponderabilità del disegno con cui si dispongono gli eventi.
Tuttavia l’incipit è sempre quello, per il maschietto come per la femminuccia (1): se il desiderio del padre non riesce a far "legge" ad essere cioè riconosciuto dal desiderio della madre, attraverso le sue parole e nei suoi atti, il cosiddetto frutto rischierà di rimanere per il resto della sua vita appeso all’albero materno nell’onnipotente fantasia di poter soddisfare la madre e, di ciò, riuscire a soddisfarsi. Il percorso attraverso le strade edipiche, nella sua possibile manchevolezza oppure nella sua persistente consistenza, fino agli esiti che ne derivano nel ventaglio delle variegate sfumature dipendenti dai livelli e dai gradi con cui si compie o non si compie la sua risoluzione, si può avviare solo a condizione che quel rapporto fusionale e – diciamolo pure – incestuoso che lega madre e figlio/a in quel reciproco scambio che riverbera, per lo meno nelle fasi precoci, i riflessi di un godimento così pieno da far sentire l’una e l’altro/a, sebbene per movimenti psichici diversi, assolutamente onnipotenti, non incontra un limite. L’agente di questa limitazione non può che essere un desiderio altro che scompagina la totalità in cui madre e figlio/a reciprocamente si nutrono. Il desiderio del padre, se riesce ad essere operativo, se riesce cioè a far rispettare la parola su cui il suo desiderio si articola, o altrimenti detto se riesce a trovare corrispondenza nella madre, ha la funzione di interdire il godimento della medesima da parte del figlio/a, ma anche il godimento di questo/a da parte della madre, aprendo così la via ad una dialettica sicuramente complessa, ma comunque necessaria affinché maschio e femmina non rimangano fusi con la non-mancanza e possano dischiudersi al desiderio. E da qui acquistare, attraverso il passaggio nel simbolico, un desiderio di uomo o un desiderio di donna.
Al di là, quindi, del mito con cui Freud metaforizza questa dinamica, gli elementi pregnanti riguardano il fatto che il desiderio umano non è dell’ordine della natura, poiché è l’effetto di una struttura storico, sociale e linguistica e che, nei suoi risvolti simbolici, l’essere limitati nel godimento della madre dal desiderio del padre equivale a doversi misurare con i desideri di donna e di uomo che compaiono al di là del padre e della madre e che fanno obiezione all’istanza onnipotente di una fusionalità senza scarti. Significa in buona sostanza farsi una ragione del fatto che, rispetto al desiderio dell’altro, ci si trovi sempre in posizione terza, il che è una castrazione che richiede di essere permanentemente rinverdita, affinché sia mantenuto lo spazio di una competenza a desiderare. Ma tutto questo non spiega ancora per quali vie ci si formi in un desiderio di uomo e di donna che non si strutturi solamente nell’identificazione con modelli socio-culturali, ma si muova nel riconoscimento della nostra posizione soggettiva in quanto esseri di sesso maschile o femminile. O, forse, è più opportuno porre la domanda: un tale desiderio trova riscontri nella vita libidica, oppure è solo questione di approssimazioni culturali che si possono realizzare come no? Freud, come si sa, fa della castrazione il momento fondante a seguito del quale il maschietto esce dall’Edipo con l’eredità di un Super-Io che gli ingiunge di godere, sebbene non della madre, mentre la femmina si troverà a compiere un percorso più lungo essendo per lei la castrazione la porta di accesso all’Edipo e al desiderio di poter avere dal padre quanto le manca (2).
Da qui Lacan, seguendo Freud e dando tutto il suo peso alla relazione simbolica che si viene ad articolare con l’Edipo, contribuirà a chiarificare i termini della funzione assunta dalla castrazione che Freud aveva posto in rapporto alle significazioni derivanti dal fatto di avere il pene o di non averlo. Se difatti i corpi, sia maschile che femminile, sono altrettanto completi nella loro costituzione naturale e come tale sono amati e riconosciuti, perché mai maschio e femmina, seppur su piani diversi, dovrebbero incontrare la castrazione, cioè un sentimento di perdita a questo livello? Lacan (3) preciserà che la perdita di cui si tratta va intesa in senso simbolico, con un salto quindi rispetto alla natura, poiché essa riguarda il fallo, ovvero la significazione che comporta, nella fase fallica, la dialettica con il desiderio della madre che, in quanto donna, non si dovrebbe soddisfare per mezzo del bambino/a, ma per mezzo di un altro fallicizzato che avrà la funzione di recidere quel fallo immaginario su cui si fonda la relazione col materno. Ne deriva che la castrazione è la perdita derivante dalla rinuncia ad essere l’oggetto che dà soddisfazione alla madre, avendone in cambio la possibilità di acquisire un desiderio maschile e femminile che se, osserviamo il gioco dei bambini e gli atteggiamenti di imitazione degli adulti comprese le loro stereotipie, saremmo però tentati di pensare che, in effetti, tutto si svolga a livello di identificazione con modelli culturali di comportamento. Si tratterebbe dunque di una sorta di mascherata, il posizionarsi in concordanza con il proprio sesso anatomico?
Certo non è facile dare una risposta e, forse, è più importante continuare a porre la domanda, soprattutto in relazione agli effetti che derivano nella società odierna da nuove configurazioni familiari e da differenti rappresentazioni del modello maschile e femminile. Inoltre non è facile rispondere poiché la clinica analitica non può che procedere in modo retroattivo, cioè partendo dagli effetti con cui si trova in interlocuzione risalendo verso il recupero delle tracce che plausibilmente possono aver determinato quella peculiare disposizione, ma non in senso contrario. D’altro canto, nella clinica dell’ascolto di storie di donne e di uomini non è raro incontrare una limitata sintonia tra la disposizione sessuale cosciente e le tracce delle fantasie inconsce, come esiti delle personali vicissitudini edipiche. Propendo nel pensare che ciò che ci indirizza nel desiderio è la posizione che, nella dialettica edipica concepita in tutta la sua estensione, assumiamo nei confronti del desiderio di un altro sessuato, il che non è ovviamente esente da inconvenienti. Possiamo, ad esempio, identificarci al desiderio di un sesso o a quello dell’altro in accordo con il nostro sesso anatomico, rimanendo tuttavia legati alla nostalgia di un fallo che ci dia un godimento perfetto. Si può sviluppare un’identificazione a livello del fallo desiderato dalla madre, rinunciando alla conquista di un proprio desiderio sessuato. Si può restare, come un androgino che sfugge alla castrazione, al di qua dell’individuazione della posizione sessuata. Possiamo aprirci al desiderio del sesso opposto, finendo tuttavia per qualche intricata vicenda, a voler fare da supporto al suo desiderio trovandoci così ad essere al suo desiderio identificati, anziché in un rapporto dinamico. Se dal punto di vista dell’anatomia le posizioni sono due, dal punto di vista del desiderio inconscio, esse si rivelano ben più variegate. Anche nella cosiddetta normalità, in definitiva, facciamo i conti, sia uomini che donne, con i fantasmi che permangono nell’inconscio e che si ricollegano agli effetti di una castrazione che, per quanto imprescindibile alla nostra formazione, è pur sempre uno snodo immaginario di cui reali sono, però, gli effetti della sua mal riuscita. Il che, oltre a far considerare che certo non a caso Freud ne fa menzione in Analisi terminabile e interminabile(4) , non può non interrogarci intorno alla attuale diffusione tra i giovani e giovanissimi di orientamenti assolutamente confusi dal punto di vista della loro sessuazione, oppure inclini a spingersi verso forme di godimento in cui sembra proprio che a farla da sovrana sia la tirannide dettata da un perverso polimorfismo.
Note
(1) In Sessualità femminile Freud annota che la cognizione di un’antica epoca preedipica nella femmina ha provocato in noi una sorpresa simile a quella che, in un altro campo, ha suscitato la scoperta della civiltà minoica-micenea precedente alla civiltà greca. Il che conduce, da un lato, ad assegnare al complesso edipico un contenuto più ampio e tale da abbracciare tutte le relazioni del bambino con i due genitori e, dall’altro, si può tenere conto delle nuove esperienze sostenendo che la femmina giunge ad una normale e positiva impostazione edipica soltanto dopo aver superato un periodo precedente … in cui il padre non è per la bambina molto più che un rivale molesto … Sigmund Freud, Sessualità femminile in Opere vol. 11, Torino, Boringhieri, 1979, p. 64.
(2) Cfr. Sigmund Freud, Il tramonto del complesso edipico in Opere vol. 10, Torino, Boringhieri, 1978, pp. 17-33.
(3) Lacan fin dal Seminario I, Gli scritti tecnici di Freud, 1953-1954 e poi in seguito, lungo l’intero arco delle sue ricerche non smise mai di interrogarsi intorno a questi temi, arrivando nel Seminario XVIII, 1971 e nel Seminario XX, 1972-1973, a sottolineare che, se non vi è che l’atto sessuale per stabilire un rapporto tra due sessi, non vi è rapporto sessuale nel senso di una relazione naturale che stabilisca una completezza tra uomo e donna che, egli afferma, non sono altro che dei significanti.
(4) Freud qui afferma che: Nelle analisi terapeutiche, e parimenti in quelle del carattere, siamo colpiti dal fatto che due temi emergono con particolare rilievo dando all’analista una quantità inconsueta di filo da torcere. … Entrambi i temi sono connessi alla differenza dei sessi; uno è caratteristico per l’uomo così come l’altro lo è per la donna. … I due temi che si corrispondono a vicenda sono, per la donna, l’invidia del pene e, per l’uomo, la ribellione contro la propria impostazione passiva o femminea nei riguardi di un altro uomo. … Abbiamo spesso l’impressione che con il desiderio del pene e con la protesta virile, dopo aver attraversato tutte le stratificazioni psicologiche, siamo giunti alla roccia basilare, e quindi, al termine della nostra attività. … Cfr. Sigmund Freud, Analisi terminabile …, cit. pp. 533-535.
Immagine tratta da: periodicounitn.unitn.it
di Stefania Guido [Leggi la sua biografia »] [Visita la sua tesi »] [Leggi i suoi articoli »]
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