La parola tradire, significa violare, venire meno a un patto (di fiducia), tuttavia la lingua italiana gioca molto con questa parola: sono vive e comuni le espressioni del tradire come svelare (uno sguardo tradisce il desiderio) o del tradire come perdere colpi (la memoria tradisce), ma anche in esse ne resta vivo il taglio originale che caratterizza il tradimento: quel fare fallace affidamento che consegna al buio e all'incertezza, facendo venir meno qualcosa.

Tradire deriva dal latino tradere composto di ‘tra’ oltre e ‘dare’ consegnare, ovvero consegnare al nemico, ma lasciamo sullo sfondo l’etimologia reale e i suoi significati, giochiamo con la parola, scomponendola prima e lasciandoci andare alle associazioni libere cui può dar luogo poi. Tra-dire, dire, parlare, cianciare in mezzo a qualcosa, essere distratti da qualcosa che si frappone, perdendosi con essa in chiacchiere, ma anche dire tra le righe qualcosa, sottointenderla invece di dirla apertamente, nasconderla, celarla ai più. Ed ancora tra dire qualcosa e il fare qualcosa il famoso detto nota che passa il mare, l’immenso, e una promessa detta, un avallo proferito, un impegno naufraga in mezzo al moto ondoso del mare della sua realizzazione: è tutto in quel dire-tra. Eppure in questo gioco di parole non c’è solo il nascondimento, il sotterfugio, ma anche lo svelamento, il dire-tra è un dire che porta alla luce un qualcosa, che lo dice appunto, nascondendolo, non lo dice apertamente, ma attraverso allegorie, metafore e veli, dunque parla, svela e rivela.

Il tradimento svela l’umanità dell’uomo, i suoi limiti, il tradimento porta alla luce l’abisso tra il potenziale e l’attuale, tra il reale e l’onirico, il tradimento accantona la stasi, la noia, l’obbedienza per il movimento, la creatività, l’adrenalina. Il tradimento dice ciò che non si riesce a dire frontalmente, che non si è più nel rapporto, che non si crede più a quell’idea e si è incapaci di lottare per quella causa, ma forse si appoggia un’altra causa, o forse si appoggia solo se stessi, il tradimento ha un che di egoistico, tuttavia colmato dal senso di colpa che provoca, ma ha anche un che di altruistico e scellerato. Il tradimento può essere puro e immacolato, non accade in modo machiavellico, non scaturisce da strategia, ma capita quasi per caso, solo perché non si ha avuto la malizia di prevedere l’abisso che le parole e gli sguardi più innocenti avrebbero risvegliato, non si previsto il disamore per una causa sempre più lontana dal proprio io e che per prima è stata vissuta come traditrice.
Il tradimento illumina e rende possibile la fiducia e il perdono, afferma James Hillman, conferendo loro significato. Cos’è la fiducia senza il tradimento e quale sarebbe il valore della scommessa che facciamo attraverso la fiducia se non sapessimo del tradimento e della sua possibilità, e cosa potremmo perdonare senza di esso? Ancora più specifico Galimberti quando sostiene che “Il tradimento appartiene all'amore, come il giorno alla notte”. Il tradimento non dipende solo dal traditore, ma anche dal tradito, non è solo la persona che tenta, ma anche chi si lascia tentare e non aspetta altro, non è solo chi compra, ma anche chi è comprato e l’idea che lascia i suoi adepti in balia, senza boe.

Il tradimento è gioco e tragedia, è funzionale eppure assassino, è recuperabile e insieme abissale, ma cosa impone la scelta fra le categorie di questa dicotomia?

La differenza di ogni singolo io e il suo rapporto con l’altro, per questo il tradimento di un ideale ha delle connotazioni etiche, e il tradimento di un’amicizia o, ancor più, di un amore ha dei risvolti emozionali molto intesi, che entrano negli abissi dell’io, nelle sue crepe, in quanto tradire è anche un po’ lasciar morire una parte di sé per farla rinascere sotto un’altra luce, tradire è in fondo contaminare il proprio io con quello dell’altro, è connessione con il diverso che ci abita, è profondamente (e profanamente) ancestrale.

Per quanto su detto il tradimento può presentare un che di catastrofico, come ho scritto nel saggio "La catastrofe nel pensiero occidentale" (ebook Il Saggiatore, Milano, Maggio 2012) il tradimento è la “scintilla materiale attraverso cui s’innesca un cambiamento totale e sconvolgente, la scintilla che nasce da un innocuo e impercettibile gesto di ribellione, la freccia del desiderio che scocca nel modo più violento fra due persone che per caso si ritrovano ad un passo. Entrambe, o almeno una di loro, sono già impegnate in un amore appagante che mira a rinnovare ogni giorno il proprio status di perfezione, dove la complementarità più totale non potrebbe mai lasciare spazio ad elementi esterni disturbanti. Eppure la sfida quotidiana del per sempre non basta più: un incontro di pochi secondi con l’altro, con il terzo, apre crepe profonde, minando la stabilità della relazione attuale e facendo esplodere la calcolata bestialità umana che riposa su un equilibrio esclusivamente di superficie. La bestialità del desiderio che vuole rinnovarsi e appagarsi di continuo, mai sazia di incontri ripetutamente vissuti, alla ricerca di un possesso totale che la condizione di nascondimento e terzietà esclude. E più i loro corpi si scambieranno contatti intensi, più loro ne avranno dipendenza e ne vorranno ancora in maniera maggiore e crescente. Questa vorticosa spirale energetica li avvolge e li risucchia sempre di più, andando contro tutte le regole che vogliono che, una volta soddisfatto, il desiderio si estingua. Non è la bellezza la molla di questo uragano, ma è quel qualcosa di indescrivibile che non permette discernimento: è una complementarità fisica e violenta, è una sfida mentale sempre sul suo farsi. Le loro mani si cercano in lievi contatti come in un’amicizia, solo che poi si ritrovano a indugiare negli incavi dei loro corpi. Lo sguardo si abbassa, la fantasia si fa vivida e la carne inaspettatamente si risveglia” e porta in un altrove, mettendo nella tasca la mano con il mondo così come lo si concepisce e aprendo l’altra mano a un mondo nuovo.

Non a torto il tradimento viene vissuto come una tragedia, esso ci mette di fronte alla profonda inconoscibilità dell'altro, dell'altro a noi più vicino, dell'altro che si crede di possedere (in qualche modo perdutamente e per sempre).

Chi, anche solo per una volta, non ha indugiato con la propria fantasia su un elemento estraneo al rapporto biunivoco che intacca, chi non ha comunicato l'intero senza alcuna inibizione, sfumatura, chi non è stato tutto d'un pezzo tradendo così se stesso? Chi non è voluto andare oltre le stelle tradendo così l'umano, chi si è voluto fermare in un porto tradendo così l'infinito? L'orlo sottile da tagliare e cucire di continuo come Penelope alla sua tela, fare e disfare nel corso di un'attesa infinita, sia che sia dedicata all'eroico Ulisse di omerica memoria, sia che sia rivolta all'assurdo quanto logico Godot di Beckett.



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