La sessualità è uno degli argomenti più trattati, discussi e amati in barba a tutte le rivoluzioni liberali, culturali, sociali e, non ultime, femministe. L’amore carnale, il sesso, dà luogo a una materia sfaccettata come una pietra preziosa, i tagli sono sempre geometrici e netti, ognuno lo affronta in proprio determinato modo, e, soprattutto, la cultura moderna sembra descriverlo come un enigma risolto, tuttavia solo se si guarda il gioco che la luce imprime alla pietra nel suo insieme si riesce a coglierne la sua brillantezza e preziosità.

Il sesso come processo meccanico è biologicamente spiegato, il sesso come sfregamento di corpi per ottenimento del piacere, dell’apertura di una porta sempre diversa del paradiso, è visualizzato e consigliato dal kamasutra. Il sesso è narrato dall’arte e studiato dalla filosofia, sdoganato è stato il cuore della psicanalisi e, forse, lo è ancora; tutto è stato detto, eppure ancora tutto è da dire, ognuno si trova a volerne dire. E allora cosa aggiungere? Perché continuare ad arrovellarsi su ciò che rende inadeguati, che rende insicuri e audaci, che rende dei e stallieri, su ciò che accomuna gli uomini e le donne di qualsiasi latitudine e razza?

Questi sono i presupposti su cui si muove Alain De Botton, scrittore purosangue del contemporaneo, nel suo ultimo accattivante lavoro Come pensare (di più) il sesso edito da Guanda in Italia a ottobre 2012. In questo saggio l’autore si diverte a tratteggiare razionalmente le dinamiche cui la sessualità dà luogo accettando il sesso (e non l’uomo) come qualcosa di intrinsecamente anomalo, invece di rimproverarci per la nostra incapacità di agire in maniera più “normale” ai suoi impulsi disorientanti e suggerirci soluzioni miracolose e forse banali (per un osservatore esterno) alle nostre bagarre sessuali.

De Botton è stato definito per questo suo lavoro un “prosatore disincantato”, dato che sullo sfondo del suo argomentare resta vigile l’attenzione alla natura a volte anche dolorosa delle relazioni. Egli insiste sull’urgenza di guardare sempre in faccia la verità, per questo descrive che l’incontro di una giovane coppia davanti a un tavolino del bar che parla con futilità, raccontandosi vacanze, passioni, brandelli di vita è per incorniciare il tempo in cui potranno spogliarsi da tutto ciò e incontrarsi. I loro corpi, si confideranno poi gli stessi amanti, già si desideravano in quel momento di chiacchiere, in anticipo rispetto ai tempi e alla superficialità dell’interazione: lei era bagnata e lui lo aveva sentito indurito, pur scegliendo di restare in una conversazione equilibrata, pur scegliendo di incastonare il tempo.

Sembra ricordarci che l’aspettativa di una vita erotica sempre soddisfacente è una chimera, la quotidianità trasforma i rapporti e impone loro dinamiche incontrollabili, apre al tradimento, ai rifiuti, agli abbandoni, ai giochi delle diverse, e spesso non dette, commistioni tra sesso e amore. Gira la chiave del desiderio, indagando le sue origini, contrapponendo bellezze diverse e descrivendo cosa possono esprimere e quali tipologie di persone possono attrarre. De Botton gioca sul concetto platonico di desiderio come mancanza, perché “lasciarsi eccitare è un processo che impegna tutto il nostro essere. Eccitarsi significa approvare tutta una serie di suggerimenti sorprendentemente complessi su un possibile stile di vita” a cui aneliamo.

Al di là di ogni dinamica altalenante, di ogni fase, di ogni idillio e di ogni sua fine, oltre la sua analisi razionalizzante De Botton invece, a mio avviso, incanta proprio restituendo all’argomento tutta la sua pragmaticità reale, proprio facendo un passo indietro dal microscopio psicologico e filosofico dal quale lo stava analizzando. Gli restituisce l’urgente e catastrofica bellezza, gli restituisce l’incanto del sole che si specchia in un manto ondulato d’acqua e acceca lo sguardo che ne viene rapito.

Sostiene infatti che “avremmo molte meno cose da fare, senza il sesso. Nessuno si preoccuperebbe di servire cibo su vassoi d'argento o costruire camere d'albergo su palafitte in lagune tropicali. Una parte preponderante della nostra economia sarebbe priva di senso, senza il sesso quale forza propulsiva e principio organizzativo. La folle energia delle contrattazioni di borsa, i camerini ricoperti di foglia d'oro di Dior in Bond Street, gli eventi del Museum of Modern Art, il merluzzo nero servito nei ristoranti giapponesi con terrazza... a cosa servono se non a coadiuvare processi in seguito ai quali due persone si ritroveranno a fare l'amore in una stanza buia mentre nella strada ululano le sirene? Soltanto attraverso il prisma del sesso, il passato diventa comprensibile per tutti noi. L'apparente estraneità dell'antica Roma o della Cina della dinastia Ming non può essere così grande, nonostante le barriere linguistiche e culturali, perché anche allora la gente subiva l'attrazione di guance rosate e caviglie ben tornite. Durante il regno di Montezuma I in Messico o di Tolomeo II in Egitto, penetrare o farsi penetrare e trattenere il fiato alla pressione del corpo dell’amante deve aver dato più o meno la stessa sensazione”.

Dopo averlo sviscerato nelle sue pieghe, nei suoi perché, dopo averlo spiegato, in un gioco di rimandi, lo rirende trasparente, “motore immobile” dell’umano e della vita.

“Senza il sesso, saremmo pericolosamente invulnerabili. Potremmo credere di non essere ridicoli. Non proveremmo sulla nostra pelle il rifiuto e l'umiliazione. Potremmo invecchiare in maniera rispettabile, abituarci ai nostri privilegi e pensare di aver capito tutto. È il sesso che crea un caos necessario nelle consuete gerarchie di potere, status, denaro e intelligenza. Tanto vale accettare il dolore che il sesso ci procura perché senza di esso non conosceremmo così bene l'arte e la musica. Senza sesso, i Lieder di Schubert o Ophelia di Natalie Merchant, Scene da un matrimonio di Bergman o Lolita di Nabokov non avrebbero senso. Non sapremmo tanto bene cos'è il tormento, e quindi saremmo molto più crudeli verso gli altri e meno pronti a ridere di noi stessi”.

Il sesso come il lato più umano dell’umano e per questo quello più divino. Il sesso rende preda dell’istinto e allontana dalla razionalità, per dirla platonicamente allontana dall’iperuranio dell’anima, eppure è la strada maestra, l’unica oserei dire, da percorrere per farvi ritorno. Il sesso rendendoci più umani, rende a noi la bellezza dell’altro, dell’inconsueto e dell’inconsulto, rende familiare e umano l’estrano, l’ombra. Il sesso e il suo pensiero è incontro con l’altro e il proprio io è l’arte di vivere l’autenticità.

Ecco allora che De Botton chiude affermando: “quando sui nostri infernali desideri sessuali sarà stato detto tutto e il suo contrario - cose a volte sprezzanti ma quasi sempre giuste - potremo sempre onorarli per non averci permesso di dimenticare cosa significa vivere un'autentica vita umana, dettata dalle reazioni chimiche e quasi sempre folle”.