Parlando di creatività le prime parole che vengono in mente sono fantasia, creatività e immaginazione.
Le parole sono come dei versetti, ognuno con l’etichetta della parola contenuta, ma che ogni individuo riempie di significati personalizzati dalle varie esperienze. L’etichetta è uguale, ma il contenuto può essere diverso.

Dal vocabolario Zanichelli la parola Fantasia è: facoltà della mente umana di creare immagini, di rappresentarsi cose e fatti corrispondenti o no a una realtà, questa parola quindi è in netta contrapposizione con la realtà.
Di fantasia, creatività e immaginazione parla Munari nel suo libro Fantasia.
La fantasia è la facoltà più libera delle altre, essa infatti può anche non tener conto della realizzabilità o del funzionamento di ciò che ha pensato. E’ libera di pensare qualunque cosa, anche la più assurda, incredibile, impossibile.
L’invenzione usa la stesa tecnica della fantasia, cioè la relazione fra ciò che si conosce, ma finalizzandola ad un uso pratico.
La creatività è anch’essa un uso finalizzato della fantasia, anzi della fantasia e dell’invenzione in modo globale.
Ecco la creatività: idee conosciute, sommate in modo che producano idee nuove, sconosciute, finalizzate ad un uso specifico, tenendo conto della fantasia e del raziocinio insieme.
Munari afferma inoltre che la fantasia, l’invenzione, la creatività hanno bisogno dell’immaginazione per poter vedere le cose pensate, e tutte e tre attingono alla memoria. La parola immaginazione la possiamo definire come: particolare forma di pensiero, che non segue regole fisse né legami logici, ma si presenta come riproduzione ed elaborazione libera del contenuto di un’esperienza sensoriale, legata ad un determinato stato affettivo e, spesso, orientata attorno a un tema fisso.

Senza l’immaginazione non si ha la creatività.
Possiamo pensare tante cose, ma se non riusciamo a vederle, non possiamo crearle. Prima ci vuole l’esperienza sensoriale, e poi una libera interpretazione della mente, che può creare un’immagine. Insomma mentre la fantasia, l’invenzione e la creatività pensano, l’immaginazione vede. Un breve cenno al pensiero visivo, immagini e metafore.
Un contributo particolare agli studi sul pensiero creativo viene da due recenti filoni di ricerca sperimentale, quelli sull’immagine e sulla metafora. Il significato di alcuni termini:
-Immagine mentale (image) è una rappresentazione figurale che conserva l’informazione;
-Attività immaginativa (imagery) è il processo che genera le immagini e le manipola attraverso l’ispezione, la comparazione, la trasformazione;
- Immaginazione (imagination) è l’uso dell’attività immaginativa per costruire qualcosa di nuovo, come un prodotto tecnico o artistico, un’invenzione, una fantasia, un sogno.
Da questi studi emerge che quasi tutti i processi del pensiero umano, dal livello percettivo a quello dei processi superiori, secondo un continuo che va da specifici modi di rappresentazione interna con un formato particolare (motorio, visivo, acustico) a immagini prototipiche, a simboli astratti.

Le immagini sono una forma di rappresentazione che può essere generata in ogni fase dei processi cognitivi: nella fase iniziale in cui anticipano il riconoscimento dello stimolo, nella memoria di lavoro quando codificano il materiale secondo il codice visivo-spaziale nella memoria a lungo termine quando riattivano il codice visivo o verbale, nel ragionamento analogico, che coglie la somiglianza tra oggetti e sistemi di relazioni, nel pensiero metaforico, che è capace di generare modelli, nell’immaginazione, che permette di costruire nuovi mondi.
Le immagini mentali sono state studiate molto analiticamente e con esperimenti ingegnosi dalle scienze cognitive, che in un primo periodo hanno prodotto modelli strutturalisti di tipo analogico, in cui le immagini mentali sarebbero molto simili ai processi percettivi, o di tipo proposizionale, in cui le informazioni sarebbero codificate in un formato astratto che può dar luogo, quando è attivato a rappresentazioni sia visive che verbali.
I successivi esperimenti hanno messo in luce l’equivalenza funzionale di immagini e percezioni e il loro ruolo in molti compiti cognitivi; in particolare Paivio ha sottolineato l’importanza del codice visivo nella memoria, per cui i ricordi meglio conservati sono quelli che si servono di un doppio codice, visivo e verbale: il primo processa l’informazione in modo analogico, e in parallelo, mentre il secondo si serve di unità discrete, le parole, che si succedono in sequenza. Paivio ha messo in rilievo con nuove metodologie ed esperimenti ingegnosi da un lato ha fatto che le parole hanno anche un valore di immagini che ne permette un migliore ricordo, dall’altro che le immagini sono quasi etichettate con parole: infatti i due sistemi hanno connessioni multiple sia al loro interno sia tra loro, e possono essere attivati da diverse istruzioni, contesti o scopi.
Questa posizione ci riporta al modello del formato astratto e delle conoscenze tacite, perché la nostra esperienza è immagazzinata in varie forme che possono essere riattivate da stimoli visivi o verbali: spesso uno stimolo fa scattare il ricordo di esperienze passate che mettono in moto una serie di processi rappresentativi.
Gli esperimenti più recenti sulle relazioni tra immagini/ percezione e immagine/memoria da un lato confermano l’esistenza dell’immagine come modalità specifica di rappresentazione, dall’altro mostrano che i processi immaginativi sono, per così dire, penetrati dalle nostre conoscenze precedenti, che completano o trasformano i processi di percezione e di memoria, specialmente quando l’informazione è ambigua. Le immagini mentali hanno una grande varietà di forme, dalle immagini realistiche, ricche di vividezza, di colore, di dettagli, alle immagini astratte, come le forme geometriche, i grafici, le mappe, i modelli. Esse pertanto interagiscono continuamente e dinamicamente con gli altri processi cognitivi, possono essere usate come strategie per risolvere problemi o fare piani e progetti, possono suscitare dei ricordi, e spesso rappresentano la prima fase di processi di comprensione, di spiegazione o addirittura di scoperta.
Alcune caratteristiche delle immagini sono l’economia, che permette di presentare in parallelo molte unità integrate in una struttura unica: si pensi per esempio al ruolo delle illustrazioni nella comprensione di un testo, nella descrizione di una procedura; la flessibilità e la possibilità di trasformazioni, che a loro volta possono essere simbolizzate in formule, diagrammi e rappresentazioni astratte; la possibilità di esplorare nuove combinazioni, che spesso conducono a forme preinventive e quindi al pensiero creativo. Finche ha mostrato con alcuni esperimenti che è possibile indurre molti soggetti a fare delle invenzioni creative partendo da semplici forme che vengono ricombinate attraverso immagini mentali in modo intuitivo, esplorativo: alle nuove immagini generate poi si attribuisce un significato interpretando le figure costruite come oggetti appartenenti a certe categorie, oppure come metafore di concetti o modelli.
E’ chiaro che il processo di “giocare con le idee”, costruire immagini, metafore, analogie in modo creativo deve essere sostenuto da esperienze precedenti in uno o più domini, da conoscenze tecniche e da strategie cognitive.
Gli elementi essenziali per lo sviluppo del pensiero creativo ad alto livello sono la curiosità, il desiderio di esplorare le varie possibilità, la capacità di applicare le nuove strutture a un altro argomento o settore, di trasformarle in modelli che si applicano a più campi e infine l’alta motivazione a perseguire uno scopo nonostante le difficoltà . Alcuni Modelli psicodinamici della creatività ci riportano a Freud che ha sottolineato le forze psicodinamiche che determinano la vita concettuale, il legame tra il simbolismo dei sogni, gli stati psicopatologici e la vita fantastica, e di aver tracciato l’importante distinzione tra processi primari, caratteristici dell’inconscio, regolati dai fenomeni dello spostamento, della condensazione e della sostituzione, e processi secondari, caratteristici dell’Io e regolati dalle leggi logiche.

Freud è stato il primo a tentare una spiegazione psicologica delle radici della creatività, considerata come un tentativo di risolvere un conflitto generato da pulsioni istintive biologiche non scaricate. I desideri insoddisfatti sono la forza motrice della fantasia, ed alimentano i sogni notturni, quelli a occhi aperti e anche le opere creative che hanno la funzione di scaricare le emozioni risultate dal conflitto; da ciò deriva l’enorme importanza, quasi esclusiva, attribuita all’esperienza infantile, che diventa la chiave per esplorare le motivazioni intorno a cui si struttura una personalità normale, neurotica o creativa: celebre, in questo senso, è l’interpretazione data da Freud all’infanzia di Leonardo per spiegare certi temi ricorrenti nella sua arte, come le figure femminili.

Freud ha dato importanza soprattutto alle motivazioni inconsce della creatività, vista in termini di spostamento della carica libidica primitiva e repressa da restrizioni sociali ed educative. Da ciò deriva la rimozione o il ricorso a difese razionali e in altri casi la sublimazione; pertanto, la curiosità sessuale del bambino diretta all’esplorazione del proprio corpo si trasforma nella curiosità che conduce alla creatività.
Kris nel 1952 ha riformulato la teoria spiegando la creatività come una regressione al servizio dell’ego, che si serve di processi primari operanti nel preconscio, regolando in maniera autonoma la capacità di allenare il controllo e riprenderlo, lasciando che le catexi dell’id affluiscano al preconscio e sviluppino i processi tipici della fantasia e del sogno.
Questo spiegherebbe la capacità di “giocare con le idee” di accettare pulsioni sessuali e aggressive, di usare l’umorismo come scarico delle emozioni.

Anche Kubie nel 1958 accetta l’ipotesi della creatività come prodotto del pre-conscio, osservando che la flessibilità creativa è possibile solo per l’azione libera, continua e concorrente dei processi pre-consci, perché la prevalenza dell’inconscio porta a rigidità ancora maggiore e i nuclei conflittuali e pulsionali sono inaccessibili alla correzione del reale. Kubie respinge quindi esplicitamente il ruolo dell’inconscio nei processi creativi, ritenendolo generatore di distorsioni neurotiche, mentre afferma che la persona creativa è uno che, in qualche modo, ha conservato la capacità di servirsi delle sue funzioni pre-conscie più liberamente di altri che possono essere potenzialmente dotati”.
Parecchi autori accettano questa interpretazione, anche se vi apportano delle modifiche parziali: tra queste la più interessante è quella di Schachtel, che introduce il concetto di apertura percettiva verso il mondo, ripreso variamente da Maslow nel 1956 con la contrapposizione di crescita e di difesa; e da Rogers nel 1959 con l’apertura all’esperienza.
Arieti definisce il processo creativo “un processo speciale che trascende la solita formula stimolo-risposta e determina un’auspicabile espansione dell’esperienza umana”. Egli attinge il concetto di “espansione” dalla teoria del sistema di Von Bertalanffy, che non è regolato solo dall’omeostasi, ma anche dall’attività autonoma del sistema nervoso e accentua il fatto che il comportamento naturale, anche negli animali comprende molte attività autonome che vanno dall’attività esplorativa al gioco, all’attività creativa e non si possono spiegare solo con la necessità di ridurre la tensione.
A differenza di tutti gli altri autori che continuano ad occuparsi del problema delle motivazioni che generano la creatività, Arieti concentra la sua attenzione sui meccanismi formali che operano nel processo creativo e ottiene uno schema valido analizzando i processi estetici, quelli del pensiero scientifico e quelli dell’umorismo. Questo risulta dall’interazione dei meccanismi del processo secondario con quelli del processo primario ed unisce quindi una combinazione nuova (processo terziario) i caratteri logici del processo secondario e i caratteri psicologici del processo primario.
Le relazioni tra il processo primario e quello creativo sono date dalla concretizzazione dei concetti, dal dualismo, per cui gli avvenimenti della vita interiore fanno parte della stessa realtà del mondo esterno, e dall’identificazione basata sulla somiglianza.


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