Gli amanti del teatro conoscono molto bene l’effetto rilassante e antistress di una serata passata ad assistere ad una commedia brillante o ad uno spettacolo di cabaret, piuttosto che di fronte ad un copione drammatico o ad un giallo. Andare a teatro significa partecipare attivamente all’azione che si svolge nel qui ed ora. Il pubblico infatti influenza, anche se non coinvolto direttamente, la recitazione: un pubblico caldo, partecipante, attento, crea un clima entro cui l’attore può caricarsi di adrenalina e dare il meglio di sé, cosa che invece con un pubblico freddo e distaccato non è in grado di fare. Durante lo spettacolo tutto può accadere, e se un copione stabilisce le regole, la cornice entro cui muoversi, è vero però che una scena non sarà mai recitata due volte allo stesso modo. Le emozioni rappresentate sono vive, presenti, evocate come per magia; poter vivere l’esperienza di immedesimazione con il testo narrato consente una sorta di liberazione, la cosiddetta catarsi, ben conosciuta dagli inventori del teatro: gli antichi Greci.

Il teatro è infatti una forma d’arte antichissima: le forme teatrali che oggi conosciamo, discendono da quelle che si praticavano nella Atene del V secolo a.C., in particolare si trattava di veri e propri riti celebrati in occasione delle feste religiose in onore di Dionisio. Gli attori, esclusivamente uomini anche nelle parti femminili, indossavano maschere che ne ampliavano la voce. La recitazione era rigorosamente in versi, e alle parti soliste si accompagnava un Coro, gruppo di attori che assolveva la funzione di collegamento delle scene, commento e narrazione della trama. La forma d'arte di ispirazione più elevata era considerata la tragedia, i cui temi ricorrenti erano derivati dai miti e dai racconti eroici. Le commedie, che spesso fungevano da intermezzo tra le tragedie, di carattere più leggero e divertente, prendevano spesso di mira la politica e i personaggi pubblici del tempo. I Greci consideravano il teatro non come una semplice occasione di divertimento e di evasione dalla quotidianità, ma piuttosto come un luogo dove la polis si riuniva per celebrare le antiche storie del mito.

L'evento teatrale era dunque un rito collettivo in cui la tragedia parlando di un passato mitico, diventava metafora di problemi attuali. Aristotele a questo proposito formula i concetto di "catarsi" (purificazione), secondo cui il teatro contiene una valenza terapeutica: lo spettatore fruisce dell’azione rimanendo protetto; identificandosi con la scena che si svolge di fronte ai suoi occhi, può sentire come se fossero propri gli impulsi passionali e irrazionali narrati senza agirli sul piano reale. E le tragedie proponevano la messa in scena e la risoluzione di passioni davvero estreme: il matricidio, l’incesto, il suicidio, l’infanticidio... torbidi impulsi inconsci presenti nell’animo umano, trovavano nella rappresentazione scenica una soluzione.

La funzione terapeutica del teatro fu ripresa in modo specifico da Moreno, psichiatra e sociologo rumeno che negli anni Venti ideò il celeberrimo metodo d’approccio psicologico che prende il nome di psicodramma. Secondo tale approccio si consente alla persona di esprimere, attraverso la messa in atto sulla scena, le diverse dimensioni della sua vita e di stabilire dei collegamenti costruttivi fra di esse. Nella versione originaria, Moreno prevedeva una scena dove si svolgeva l'azione, un protagonista della rappresentazione, un'équipe psicodrammatica i cui componenti, denominati 'io ausiliari' avevano la funzione di recitare quelle parti di cui il paziente poteva avere bisogno per presentare adeguatamente la propria situazione, dando corpo a persone reali dell'ambiente del paziente, o a figure simboliche. Gli altri protagonisti della rappresentazione erano gli spettatori, che come il coro della tragedia greca facevano da eco al protagonista, manifestando le proprie emozioni di fronte alle vicende rappresentate.

Dalla formulazione dello psicodramma ad opera di Moreno, si passò poi dagli anni Quaranta in poi a modificare perfezionare il metodo, fino ad arrivare oggi ad avere molte tecniche che fanno capo allo psicodramma, ma con funzioni e caratteristiche diverse. In linea generale, l’aspetto fondamentale dello psicodramma moderno, è che la persona è messa in condizione di rivivere delle situazioni piuttosto che di raccontarle. La persona può parlare con le diverse parti di sé, parlare con le diverse persone della propria vita (ora interiorizzate), piuttosto che parlare di esse. L'azione dello psicodramma può riguardare una situazione presente o passata di una persona, ovvero rappresentare altro genere di conflitti familiari, scolastici, lavorativi, di coppia.

Da spettatori ad attori e registi: l’utilizzo di tecniche psicodrammatiche nei colloqui psicologici e nei gruppi di formazione può diventare uno strumento di rielaborazione emotiva molto valido, dal momento che per poter rielaborare in modo profondo, stabile e duraturo le emozioni e i conflitti che sono alla base di una situazione di disagio, la sola narrazione non sempre basta. La parola, da sola, rischia infatti molto spesso di razionalizzare il disagio: la persona arriva a comprendere, seppur molto bene, ma solo cognitivamente i meccanismi alla base di un comportamento disfunzionale o di un malessere che disturba la qualità di vita. In questo caso, viene sollecitato prevalentemente l’emisfero celebrale sinistro: razionale, logico, analitico. Al contrario, rivivere in senso metaforico quanto crea disagio recitandolo, permette di attivare l’emisfero destro, istintuale, olistico ed emotivo. E’ dalla sinergia di entrambi gli emisferi, attivati con la parola e con l’azione, così come delle diverse parti di sé, che nasce la risposta creativa, quella in grado di portare nuovi equilibri e cambiamenti significativi nella vita di ciascuno.



Immagine tratta da: www.ac-grenoble.fr