Non si può fare a meno di chiedersi, guardando Another Woman - capolavoro incredibilmente poco conosciuto di Woody Allen – come sia possibile che un uomo abbia saputo ritrarre in modo così profondo la donna e le sue lotte interiori. Nella pellicola si susseguono infatti simboli e richiami quali il Selvaggio (la pantera che guarda fuori dalla gabbia), la maschera, la creazione (la donna gravida ne La Speranza di Klimt), l'arte, il desiderio.

La voce narrante è quella della protagonista, Marion, donna brillante e in carriera che ha da poco superato la soglia dei 50 anni. Marion ha preso un'aspettativa dal lavoro (è direttrice della facoltà di filosofia) per scrivere il suo prossimo libro. La tranquillità del suo appartamento viene tuttavia disturbata dalle parole provenienti - tramite una grata - dallo studio adiacente, in cui si sta svolgendo una seduta tra un terapeuta e la sua paziente. Marion non può evitare di ascoltare e racconta: “Era una voce di donna, e aveva un tono così angosciato, sconsolante, che fui completamente presa dalla sua tristezza”. Iniziano da qui meravigliosi intrecci spaziotemporali tra il raccontarsi della giovane donna (incinta) e il passato e il presente di Marion: un matrimonio con poca passione, il padre vedovo, il fratello con le sue continue richieste di prestiti, le attese dei genitori, un amore passato e messo a tacere, i ricordi, un'amicizia perduta, tutto le gira attorno in un confondersi di sogno e realtà. Su tutto aleggia il giudizio severo di Marion.
A inizio film la donna dichiara: “Se una cosa sembra funzionare, lasciala stare”. Ironico, perché proprio da questo momento qualcosa comincia a borbottare dal fondo della sua vita apparentemente priva di ombre. Le persone a lei vicino le rimandano indietro, in un moto di ribellione, il suo giudizio così impassibile ad ogni emozione. Il vagabondare di Marion nel proprio passato si rispecchia con le parole della giovane donna in terapia, svelando un autoinganno di cui si fa volontariamente prigioniera, un intellettualismo lontano dalla vita reale, una menzogna che la uccide lentamente ma di cui tuttavia non si vuole liberare. Infine l'incontro reale con la giovane donna e la scoperta del tradimento del marito la smascherano, come colta in flagrante, nel vuoto della propria esistenza. Sfogliando il libro di poesie di Rilke appartenente alla madre, Marion si imbatte in questi versi: “[...]Poiché qui non c'è alcun posto che non ti veda, devi cambiare la tua vita”.
E' da questo squarcio di profonda crisi, dall'affiorare di fantasmi simbolici (la pantera, la maschera, la nascita) che Marion ritorna alla scrittura del libro, lasciando presagire la possibilità di una creazione cui solo la donna che ha saputo riscoprire il proprio sé istintuale, che ha saputo passare attraverso la perdita e affrontare la paura dei sentimenti profondi, può dare vita.



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