Ma siamo davvero sicuri che i nostri bambini si divertano un mondo con i loro giochi tecnologici?
La prima risposta è sì, certamente, lo vediamo bene da quante ore passano attaccati al loro game boy, davanti alle varie consolle, in compagnia del loro pc...
E se questa fosse una risposta falsa, o meglio non del tutto vera? Se fosse solo un modo per metterci a posto con la coscienza?
Se fosse soltanto la conseguenza della non conoscenza di altre forme di gioco, magari di quelle definite un po’ arcaiche, démodée, passate, insomma, nel dimenticatoio generale?
Cosa avremmo fatto noi da bambini se nessuno ci avesse iniziati al piacere di una sana mosca cieca, di un gioco dei quattro cantoni, della palla prigioniera, della campana o della settimana , della palla a battimuro, ecc.?
Sicuramente saremmo stati un po’ più tristi e annoiati, un tempo la tecnologia era poco diffusa e certamente non veniva utilizzata in aiuto dei bambini, ma soprattutto, saremmo stati un po’ meno lateralizzati, un po’ più goffi, meno agili, più statici, non avremmo potuto conseguire una buona "manualità", quella stessa capacità che ci ha consentito di trasformare tanti oggetti in altri oggetti.
Anche la nostra fantasia ne avrebbe, risentito, perché attraverso le nostre mani siamo riusciti a dare forma alla nostra creatività... Un bicchiere di plastica e un po’ di spago trasformati in un telefono, il "rocchetto" del filo con cui la nonna rammendava la biancheria, trasformato in un temibile cannone, i tappi di latta, in "pedine" del "giro d’Italia", ecc... e così via fino alle realizzazioni più sofisticate...
Ma non è tutto!
Già sembra impossibile, ma è proprio grazie a questi giochi che si è appresa la nozione di regola, di rispetto degli altri, del gioco di squadra, di condivisione della vittoria o della perdita di una partita, ma soprattutto si sono incamerati inconsapevolmente e permanentemente dei saperi e delle abilità, altrimenti più faticosi da conseguire.
Oltre alla "socializzazione", che tali giochi sviluppano, anche la capacità di mantenersi in equilibrio, il sapere effettuare un buon coordinamento psico-motorio generale, la lateralizzazione, la manualità prima descritta, sono certamente frutto anche di queste situazioni di gioco.
Oggi i bambini, purtroppo, non possiedono, né acquisiscono più così facilmente e precocemente tali abilità, a causa del fatto che i giochi e il modo di giocare sono cambiati.
Sicuramente l’aumento del traffico, la paura e l’impossibilità di far giocare i bambini in strada, o nei cortili interni dei palazzi, che sono andati via via sparendo, hanno condizionato fortemente queste occasioni di gioco collettivo, ma in misura ragguardevole ha inciso, in tal senso, anche la mancanza di una vera e propria trasmissione familiare di questi giochi!
E’ rimasta prerogativa di pochi la voglia, o l’idea di mettersi in gioco con i bambini per insegnare loro attraverso l’azione i giochi di un tempo.
Senza voler dare colpe o esprimere giudizi sui perché che ciascuno di noi conosce bene è utile soffermarsi sugli effetti di questo "incontro mancato" con il gioco.
Il gioco è fondamentale per un corretto sviluppo del bambino, che se privato non riuscirebbe a dare libero sfogo ad una riserva infinita di energia che "pulsa" in lui e che lo contraddistingue, lo rende diverso da un essere adulto, e si evince dalla frequenza con la quale il bambino si dedica ai momenti ludici all’interno della sua giornata.
Eminenti studiosi nel corso dei secoli hanno indicato proprio nel gioco un momento fondamentale e insostituibile per la crescita sana e armonica del bambino.
Agli albori del secolo scorso Cross sostenne che l’attività ludica è una sorta di esercizio utilizzato per sviluppare delle attività motorie e mentali dell’individuo. Questa attività corrisponde ad una sorta di pre-esercizio, che favorirebbe il fatto, che determinate strutture innate siano trasformate in strutture più complesse e soprattutto più adatte a quelle che sono le modificazioni ambientali. Sempre il gioco consente al bambino di comprendere la realtà interna e quella a lui esterna (mondo dal quale è ancora escluso) e questo gli permette un buon adattamento.
Con il gioco ha la possibilità di acquisire costantemente nuove competenze cognitive, attraverso l’esplorazione degli oggetti, la sperimentazione attiva, legata alla molteplice utilizzazione degli oggetti e alle leggi che gli fa conoscere, interpretare e controllare il proprio mondo interno fatto di desideri, pulsioni, istinti e quindi lo sprona a creare la giusta mediazione tra le due realtà. Lo abitua a saper gestire le eventuali frustrazioni che vengono sollecitate dalla vita sociale, dai rapporti con gli altri e quindi comprendere i propri bisogni soggettivi e mediarli con quelli degli altri.
Il bambino è così in grado di percepire l’armonia e non il conflitto e la contraddizione spesso legati alla compresenza di due mondi.
Attraverso il gioco è anche in grado di interpretare i propri desideri e di dare loro una certa forma progettuale.(1)

Il gioco e lo sviluppo cognitivo
A livello cognitivo il gioco favorisce lo sviluppo
- della memoria,
- dell’attenzione,
- della concentrazione,
- della capacità di confronto,
- del sapersi relazionare
- del saper utilizzare gli schemi percettivi
Una scarsa e carente attività ludica può contribuire a creare delle carenze a livello cognitivo.

Il gioco e lo sviluppo sociale
A livello sociale il gioco si manifesta attraverso tre stadi:
1) Gioco solitario
tipico nei bambini di pochi mesi di vita. Manca l’interazione sociale.
2) Gioco parallelo
compare tra il I e il III anno di vita. In questa fase si assiste ad un momento di aiuto reciproco anche se si tratta di gioco individuale.
3) Gioco sociale
tipico dei bambini di età compresa tra i quattro e i cinque anni di vita. Corrisponde all’inizio del periodo scolastico, c’è una maggiore interazione sociale.(2)
 
Per i bambini, che giocano per divertirsi, non c'è nessuna differenza tra il gioco e ciò che un adulto potrebbe considerare come un lavoro.
Solo più tardi, una volta che giungono ad associare un'attività alla ricompensa, essi iniziano a considerare un comportamento mentre lo pongono in atto in vista di benefici a lungo termine, piuttosto che per la gratificazione immediata. Ciò è dovuto allo sviluppo di abilità cognitive che consentono al bambino di vedere il legame tra causa ed effetto.(3)


Il gioco e l’apprendimento delle "regole"
Il bambino, sperimentando la vita di gruppo, si trova di fronte a determinate "regole" che è tenuto a rispettare. Lo spirito di competizione o di cooperazione che derivano dalle relazioni interpersonali, soprattutto in ambienti quali la scuola, la palestra ecc., portano il bambino a preferire giochi che rispecchiano tale realtà, in cui, cioè, le regole vengono viste non più come imposizioni da accettare, seppur malvolentieri, ma come mezzi necessari per il buon andamento del gioco stesso.
La comparsa delle regole determinano la fine del gioco infantile propriamente detto e inaugurano una fase di crescita, altamente educativa, in cui viene stimolato l'autocontrollo del bambino, la sua capacità di concentrazione, di memoria ecc.

Per lo psicologo ginevrino Piaget, ad esempio, il gioco è la trasposizione simbolica della realtà conosciuta. Svolge funzioni mentali importantissime: rappresenta la realtà imitandola e scaricando emozioni. Per usare una sua felice definizione esso è "il lavoro del bambino". Mentre nella vita ordinaria, i nostri figli devono continuamente adattarsi al mondo esterno, modificando gli schemi in base alle richieste degli adulti, invece, nel gioco, è il mondo che si adatta a loro, secondo le loro esigenze creative.

Anche Freud ritiene che il gioco assicuri l’equilibrio emotivo della persona, consentendole di liberare le tensioni e di dominare mentalmente le cose attraverso un’attività simbolica, molto simile a quella del sogno. Si pensi alla bambina che indossando le scarpe della madre si prepara ad assumere l’identità femminile (funzione identificatoria). O al bambino che gioca al dentista per attenuare l’ansia che tale personaggio gli incute, sia prima di andarci (funzione anticipatoria), sia dopo esserci stato (funzione riparatoria). Al bambino che gioca con i fili di lana per simulare il calore del corpo materno (funzione compensatoria). A quello che ripete le scene violente appena viste in tv (funzione espressiva) o che si diverte a costruire e a distruggere, a suo piacere, castelli di sabbia, realizzando così un mondo tutto suo (funzione di dominio e controllo). Oppure, si pensi al bisogno di pasticciare e di sporcarsi che hanno tutti i bambini. Alla loro attrazione per le materie primarie e plastiche, ricche di significati simbolici (acqua, farina, sabbia...). La manipolazione di tali elementi scarica le tensioni e difende dal mondo delle regole e dei divieti.

Cominciamo, allora, ad osservare i bambini quando giocano, con lo stesso interesse con cui ammiriamo il lavoro di adulti esperti. E chiediamoci: "A quale funzione assolve questa azione?.(4)
Indubbiamente l’osservazione di un bambino mentre gioca è una fonte preziosissima per la conoscenza del suo stato generale ; non a caso gli insegnanti utilizzano spesso il momento del gioco, individuale o collettivo, diretto o libero, svolto nella classe, nella palestra oppure in giardino, per osservare gli alunni nelle loro interazioni e per valutare lo stato di benessere del bambino stesso, ma è ancora più vero quanto sia importante utilizzare e considerare il gioco come mezzo e strumento di comunicazione di fattori molteplici.
Per questo dovrebbe essere dedicato dagli insegnanti, dagli operatori, ma soprattutto dai Genitori uno spazio maggiore al gioco da fare "insieme".

Per fare ciò non si devono necessariamente avere a disposizione intere giornate, ma ad esempio iniziare col sostituire i momenti serali di incontro, che magari vengono spesi davanti alla televisione, in attività da fare insieme, un puzzle, una battaglia navale, le costruzioni, un libro pop-up, i giochi con le carte, la dama, gli scacchi, ecc. che non solo svilupperebbero la capacità di riflessione, la tenacia, la pazienza, la capacità di calcolo, di previsione di pianificazione ecc. soprattutto darebbero ai bambini l’esatta percezione dell’importanza che essi ricoprono all’interno della propria famiglia, ciò accrescerebbe la loro autostima e allontanerebbe definitivamente la sensazione di solitudine che spesso, a nostra insaputa, avvertono.




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