Il termine ebraico scibbolet (1) rinvia ad una pluralità di significati: fiume o torrente, grano o spiga di grano, oppure, a seconda delle fonti, anche ramoscello d’olivo. Non sono però questi significati a dare il senso che si attribuisce alla parola. Con scibbolet intendiamo infatti un segno di riconoscimento, un criterio che permette una discriminazione. Percogliere questo slittamento tra il significato originario e il senso attribuito occorre rifarsi alla narrazione biblica, secondo il Libro dei Giudici. "I Galaaditi intercettarono agli Efraimiti i guadi del Giordano; quando uno dei fuggiaschi di Efraim diceva: "Lasciatemi passare", gli uomini di Galaad gli chiedevano: “Sei un Efraimita?". Se quegli rispondeva "No", i Galaadi gli dicevano: "Ebbene, dì Scibboleth", e quegli diceva Sibboleth, non sapendo pronunciare bene. Allora lo afferravano e lo uccidevano presso i guadi del Giordano". Scibolet non è una parola d’ordine: non è sufficiente conoscerla per poter passare al di là del Giordano.
L’essenziale non è neppure il suo significato poiché è dicendola che si palesa ciò che di essenziale si vuole sapere. L’incespicare della lingua, da parte degli Efraimiti, è il tratto inequivocabile che consente di distinguerli dai Galaaditi.

Nei testi di Freud non è raro incontrare degli scibbolet: ipotesi teoriche e formulazioni la cui peculiarità ritaglia un campo di radicale estraneità, o per meglio dire di extra-territorialità, rispetto a saperi popolari o accademici – non ha importanza – che la comunità, scientifica o meno, considera al pari di evidenze inoppugnabili, di certezze consolidate. Le significazioni del sogno, il pensiero che il lapsus, l’atto mancato della vita quotidiana e il motto di spirito palesano attraverso l’errore e l’equivoco, l’Edipo e la sessualità nell’estensione oltre i confini che la scienza medica e la morale le assegnano, l’amore da transfert, la rimozione e la resistenza costituiscono le vie elettive per una ricerca che si snoda ai margini del sapere consolidato nel tentativo di sottrarre all’insipienza, alla rimozione e al rinnegamento quegli aspetti dell’umano scartati dalla cultura e dalla scienza. Il criterio di distinzione, ciò che fa la differenza conferendo l’aspetto di uno scibbolet, come afferma Freud (2) nella lezione ventinovesima di Introduzione alla psicoanalisi riferendosi al sogno, è la stranezza di formulazioni che non hanno riscontro altrove nel nostro sapere.
Il passaggio attraverso lo scibbolet si compie se l’elaborazione teorica non scarta quel lembo di terra di confine che consideriamo straniera, ovvero estranea al nostro sapere. La distinzione dello psichico in ciò che è cosciente e ciò che è inconscio è, secondo Freud, il primo scibbolet della psicoanalisi (3); primo non soltanto secondo un ordine di importanza, ma il primo poiché non si può procedere oltre se questa soglia non è oltrepassata. Se si vuole seguire Freud lungo l’originale cammino delle sue ricerche non vi è dubbio alcuno che la questione del rapporto tra coscienza ed inconscio rappresenti lo snodo fondamentale che fa da spartiacque tra chi si ferma al di qua e chi può proseguire oltre. Soltanto chi riesca a concepire la coscienza come una delle qualità dello psichico, per lo più incostante (4), anziché sussumere lo psichico nell’ambito della coscienza, potrà ammettere l’esistenza di una dimensione inconscia dello psichico. Ne deriva che il passaggio attraverso lo scibbolet è rifiutato a chi assume una concezione coscienzialista, che fa della coscienza l'unico punto di riferimento della vita psichica; negato, d’altro canto, anche a chi, capovolgendo le posizioni, postula un inconscio la cui essenza mistica ed inafferrabile rende oscuro il suo rapporto con la coscienza. Soltanto pensandoli insieme si può cogliere, tra coscienza ed inconscio, la complessa dinamica in gioco che conduce ad ammettere l’esistenza di processi psichici o rappresentazioni che, pur senza essere coscienti, sono capaci di produrre nella vita psichica tutti gli effetti dalle rappresentazioni coscienti. Il primo scibbolet della psicoanalisi è accettare il presupposto fondamentale dell’esistenza di un inconscio che, secondo la formulazione che Freud ne dà ne L’Interpretazione del sogno (5), è lo psichico reale. Il che ci avverte che la realtà psichica non è necessariamente tale quale ci appare e ci invita a considerare l’illegittimità del porre la percezione da parte della coscienza al posto del processo psichico inconscio che ne è l’oggetto.

Lo scibbolet comunque rimane una prova, un test che può realizzarsi solo mediante il compiersi di un atto, sicché non si può accogliere il presupposto fondamentale della psicoanalisi senza riconoscerlo nel suo accadere. Non si tratta difatti di aderirvi come si darebbe accordo ad una teoria, ma di farne esperienza attraverso una pratica in cui ciascuno può ritrovare la propria divisione in quanto soggetto abitato, parlato e, quindi, sorpreso da un’intenzionalità più forte di lui, scoprendosi in ciò come un Io che non è padrone in casa propria (6) o – come dirà Lacan – lasciandosi sfuggire che in noi c’è chi parla, un soggetto nel soggetto (7). Se l’inconscio freudiano è, rispetto alla coscienza, un’extra-territorialità di cui si disconosce l’appartenenza, quell’estraneità da cui siamo abitati, benché in atto nel pensiero di ciascuno permeandone lo stile e i modi di dire indipendentemente dalle intenzioni coscienti, esso non può che dirsi tramite il suo tra-dirsi.
Le formazioni dell’inconscio, anche a prescindere dalla patologia, accadono là dove il decentramento della coscienza consente a qualcosa che allude alla verità del soggetto di riuscire a filtrare attraverso le esigenze di padronanza, al di là delle frontiere erette dal cosciente. Il sogno, il lapsus, l’equivoco, le lacune della memoria testimoniano di un inconscio in atto che richiede d’essere riconosciuto e il cui riconoscimento produce effetti sul suo accadere. Sicché viene in luce che il primo scibbolet della psicoanalisi non è senza condizioni poiché non può prescindere dalla contingenza, dalla sua attualizzazione. Il segno di riconoscimento non è attuabile in contumacia o in effige, ma soltanto nel momento in cui chi avrebbe voluto articolare “Scibboleth” dice invece “Sibboleth”, allertando l’orecchio di chi è in ascolto di quello che un altro sta dicendo.

Che “Scibboleth” significhi torrente o spiga di grano, ramoscello d’olivo o fiume poca importa perché è un’altra scena, quella della narrazione, a restituirne il senso, seppure esso risulti del tutto strano, cioè estraneo, rispetto ai significati della parola. In modo analogo nell’esperienza analitica è lo slittamento da una significazione compiuta ad un senso altro, a permettere il passaggio verso un qualche frammento di verità extraterritoriale.
Sicché, una parola male-detta, un provvidenziale male-inteso, un’inspiegabile dimenticanza, riverberando l’atto di un soggetto diviso che riesce proprio là dove inciampa, si dispongono all’ascolto analitico come uno spiraglio dischiuso sul confine di quell’estraneità da cui ciascuno vorrebbe restare separato. Il diritto di passare al di là della frontiera lo conferisce il medium di una parola errante che riesce a sfuggire la padronanza della sua significazione. E, per la stessa funzione che Freud gli assegna, il primo scibbolet della psicoanalisi, discriminando tra il già conosciuto e il ri-conoscere, tra ciò che si sa e ciò che non si sa ancora di sapere, assume ciascuna volta il risvolto di una trovata che coniuga teoria e prassi. Così come non è sufficiente nominare il sogno, il lapsus, la sessualità, l’inconscio o altro per procedere verso il luogo della loro estraneità , allo stesso modo nell’esperienza analitica tale possibilità sarebbe preclusa qualora, concentrando l’attenzione sulla parola che rimanda ad una significazione già data, si rimanesse sordi ai balbetti della sua enunciazione.
Il che porta infine a considerare che il primo scibbolet della psicoanalisi non è da intendersi come il primo, una volta per tutte, bensì come ciascuna volta il primo, tutte le volte.




1) Si è scelto di utilizzare la scrittura senza la h così come compare nelle Opere di Freud nella traduzione italiana. La scrittura con la h è, invece, impiegata nel riferimento al testo biblico.
2) Sigmund Freud, Introduzione alla psicoanalisi, lezione 29 in Opere, vol. XI, Boringhieri, Torino, 1979, p. 123
3) Cfr. Sigmund Freud, L’Io e l’Es in Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino, 1977, p. 475
4) Ibidem
5) Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni in Opere vol. III, Boringhieri, Torino, 1977, p. 557
6) Cfr. Sigmund Freud, Introduzione alla psicoanalisi, in Opere vol. VIII, Boringhieri, Torino, 1976, p. 446
7) Cfr. Jacques Lacan, La psicoanalisi e il suo insegnamento in Scritti, Einaudi, Torino, 1974, p. 429



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