Perché si cade preda di una qualsivoglia dipendenza?
In quale modo è possibile uscirne?
Può la scrittura considerarsi una terapia?



Tante, troppe volte, a Pino Roveredo sono state rivolte queste esatte parole: “Non si fa così, non si può sfidare la corrente naturale della vita, guardaci e convinciti che noi siamo l’esempio, non vincerai mai nell’assurdo delle tue capriole in salita!” Parole sussurrate, gridate e implorate da chi in quel momento stava percorrendo una strada in discesa e vedeva lui - Pino - alle prese con una vita difficile da scalare.

Pino Roveredo - triestino classe 1954 - consegna ai lettori, sotto forma di romanzo, la sua autobiografia di ex alcolista e scrittore. O forse di scrittore perché ex alcolista. Perché senza la discesa nell’inferno dell’alcol il suo libro non sarebbe nato. Senza le tante capriole in salita fatte per uscire da quell’inferno alcolico non ci sarebbero pagine di scrittura fitta e impietosa, cruda e diretta, ma proprio per questo capace di farsi testimonianza carnale di una vita condotta al limite estremo della morte. E le testimonianze, si sa, servono a salvare la vista di chi le ascolta. E di chi le racconta.

Figlio di genitori sordomuti (“da qui il mio piacere per la scrittura”), con “un papà che aveva sbagliato il mestiere di vivere”, Pino viene risucchiato nel grogo della miseria, dentro quei “bicchieri riempiti come un’offerta sul tavolo di casa”, con attorno soltanto “il disprezzo del mondo”.Un’infanzia di privazioni, l’orfanotrofio, il carcere, le innumerevoli e infaticabili tappe nelle bettole della sua città, i reiterati ricoveri in ospedale: questi sono i grani del rosario che Pino ha tenuto in mano per tanti, troppi anni.

Poi, la svolta. Il fondo del barile che arriva per tutti, i conti che si devono fare con se stessi, per poterli fare con gli altri. “Una notte vidi i serpenti in sogno, strisciavano viscidi, aprii gli occhi urlando per scacciare l’immagine ma loro erano ancora là, contropartita del mio patto con il diavolo.” Ma i patti si possono sciogliere. Pino sceglie di mettersi in cammino per risalire la china del suo personale inferno. Decide, aiutato dalla moglie Luciana, di farsi accogliere presso il Servizio di Alcologia dell’ex “casa dei pazzi” di Basaglia.

Pino ce l’ha fatta a tornare a vivere. Molti altri no. E moltri altri ancora stanno facendo un’infinità di faticose capriole in salita che portano soltanto all’inferno. A questi Pino ha deciso di dedicare la propria vita. Con la scrittura, con il teatro, con svariate organizzazioni umanitarie. Ma soprattutto con lo spirito da “operatore di strada”, come ama definirsi.

E Pino continua farcela grazie anche alla scrittura. In un’intervista rilasciata al sito panorama.it afferma, infatti, che “la scrittura è essenziale. Con la cultura ci si salva. Seguo un gruppo di tossicodipendenti e abbiamo riscontrato una percentuale di recupero molto più positiva a fronte di iniziative teatrali, letterarie... Nel mondo del disagio si scrive e si legge molto di più. Io per trent'anni ho scritto non per realizzare libri. Ancora oggi continuo a scrivere a mano su carta.”


Pino Roveredo Capriole in salita, Bompiani, 2006