Appartenere al sesso femminile significa trovarsi al mondo in una posizione di inferiorità. Lo constata Mary Wollstonecraft (1), ma probabilmente ognuna di noi ne fa esperienza ogni giorno. Parlare di questo significa parlare di tutte quelle posizioni molteplici e conflittuali del sapere contemporaneo che si annoverano sotto il termine di femminismo. È Mary Wollstonecraft, ad inaugurare nel 1792 il pensiero femminista e ancora oggi punto imprescindibile di confronto sui temi fondamentali sul femminismo. In cosa consiste la sua mappa concettuale? Primo punto critica il patriarcato come sottomissione sociale e culturale della donna all’uomo. Secondo punto l’uguaglianza che, a partire degli ideali dell’illuminismo, rivendica anche per le donne gli stessi diritti dell’uomo. Il terzo, più filosofico, rivendica il punto di vista femminile nella questione della soggettività, dell’identità e del sé. È in riferimento dell’identità del sé che è opportuno notare come la tradizione occidentale abbia pensato la differenza sessuale come principio di discriminazione fra un sesso dominante e un sesso dominato. Considerazioni che Mary Wollstonecraft constata alla fine del '700 ma che fino a tutt’oggi persistono. L’indagine sui meccanismi logici e ontologici di tale giustificazione è uno dei costanti temi di analisi delle posizioni femministe. Il fenomeno è infatti ricondotto al dominio storico e culturale di un ordine patriarcale, androcentrico e fallologatrico. E rispettivamente Pater sta per Padre, aner per uomo e fallo per figura simbolica del pene. Si tratta di un ordine di centralità maschile che struttura tutta la cultura occidentale. Tutta la tradizione è androcentrica, dai greci ai giorni nostri e nulla cambia se si incomincia da Omero o dalla Bibbia. Se si va alla ricerca del matriarcato bisogna lavorare con immaginazione su tracce e indizi che il sistema di patriarcato ha inglobato nella sua logica. Ma la domanda non è quando abbia inizio il patriarcato ma come funziona tale ordine costituito e, soprattutto, perché ancora persiste.

Mary Wollstonecraft individua una delle principali cause nella divisione tra sfera pubblica assegnata agli uomini e sfera privata assegnata alle donne. Ne consegue una falsa credenza di razionalità maschile opposta al sentimento femminile, l’attività politica a quella domestica, l’educazione ai saperi e l’educazione alla cura della casa. Così nella storia l’ordine patriarcale funziona su un meccanismo di esclusione: Le donne appartengono ad una sfera subordinata che viene esclusa dai luoghi, dai saperi e dai poteri maschili. È dagli anni settanta che si configura una consapevolezza di pensiero che, con apporti filosofici ma anche psicoanalitici, analizza il campo del linguaggio e del sapere come un ordine simbolico di generazione e rigenerazione del potere maschile. Ed è sul temine natura che si fa insidioso il potere del linguaggio maschile. Infatti le donne sembrano appartenere naturalmente al ruolo domestico perché partoriscono e nutrono e hanno cura della prole. E il termine naturale si solidifica in una concezione storica di ciò che è normale per la donna, di norma come deve essere.

La natura è un processo di normalizzazione per la donna e decide chi ha stabilito la norma. Ed è tale norma che ancora stabilisce ciò che deve essere pensato come anormale. Nel corso dei secoli cambia l’idea di normale ed anormale ma non cambia che a stabilirlo sia l’uomo e che la donna sia situata in un ruolo subordinato. Le donne rimangono come stereotipi di madri e mogli o sessualmente seduttive come prostitute. Per comprovare l’evidenza e il radicamento plurisecolare di tale fenomeno si può semplicemente osservare le pubblicità che appaiono sui media. Mogli pudiche e rassicuranti in famigliole felici che reclamizzano biscotti per la colazione o prodotti alimentari come pasta o l’igiene della casa. Le bevande alcoliche inscenano una situazione extra-familiare dove si muovono donne provocanti, pericolose e vampireggianti. Anche nella nostra pubblicità, quindi, l’ordine patriarcale è la norma. Notarlo non significa dimostrare semplicemente un fenomeno ma riconoscerlo per avere i mezzi per decostruirlo. A tal proposito il manifesto femminista italiano del 1970 recita: “Riconosciamo il carattere mistificatorio di tutte le ideologie, perché attraverso le forme ragionate di potere (teologico, morale, filosofico, politico), hanno costretto l’umanità a una condizione inautentica, oppressa e consenziente”. E dietro ogni ideologia il femminismo riconosce una gerarchia dei sessi. L’uguaglianza non si raggiunge con l’uccisione dell’uomo ma con l’accettazione della differenza tra uomo e donna che è la differenza di base di tutta l’umanità. E come ricorda la Cavarero (2) “la differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia”. Parlare sia di uguaglianza che di differenza risulta difficoltoso se si rimane prigionieri di una logica universale e maschile. Il pensiero femminile rifiuta qualunque definizione dell’essere umano definito sulla base di un altro essere umano o gruppo. Sia in Marx che in Engels si elabora la teoria storica per cui la donna da dea madre simbolo della fecondità diviene possesso del padre e poi del marito come proprietà. Questo passaggio graduale avviene quando l’umanità passa allo stadio di allevamento del bestiame, all’agricoltura organizzata e alle guerre per la conquista dei territori. L’uomo diventa protagonista come guerriero e come pastore, dalla gens si passa alla famiglia monogamica e il capofamiglia diviene proprietario. Questo passaggio rappresenta la nascita del sistema patriarcale e la sconfitta della donna. Le teorie del materialismo storico chiamano in causa un’interpretazione del destino femminile solo su basi economiche. Al materialismo storico sfugge la chiave emozionale che ha determinato il passaggio alla proprietà privata.

Secondo la Lonzi (3) in “Sputiamo su Hegel” il primo archetipo della proprietà concepito dall’uomo è l’oggetto sessuale. La donna, rimuovendo dall’inconscio dell’uomo la sua prima preda, sblocca i nodi originari della patologia possessiva. Non è possibile immaginare la disuguaglianza subita dal sesso femminile come lotta di classe o legata al capitale. La donna infatti è oppressa in quanto donna a tutti i livelli sociali, non al livello di classe ma di sesso. Secondo Lenin la donna poteva svilupparsi in modo da raggiungere l’uguaglianza effettiva con l’uomo quando, nella società comunista, si fosse liberata del lavoro domestico improduttivo per affrontare il lavoro produttivo. Ma è evidente che la donna è sottoposta tutta la vita alla dipendenza prima della famiglia del padre e poi di quella del marito. La sua liberazione non consiste nel raggiungere l’indipendenza economica ma nel demolire l’Istituzione che l’ha resa schiava. Di fatto la donna è rappresentata da un linguaggio universale-maschile e pensata a partire da una perdita, l’angoscia metafisica della sua differenza. Si tratta di smascherare la falsa universalità di tutto il sapere della tradizione che si è da sempre perpetuata come espressione di una ragione universale e di contrapporre un pensiero ed un sapere sessuato femminile. Spunti di tale pensiero sono rintracciabili in saperi non razionali come la mitologia, l’arte e le religioni. Ai margini del sapere tradizionale si riscopre un sapere femminile da perseguire ed arricchire, che, come un pungolo, provoca e spezza le dinamiche razionali e violente di un pensiero strumentale e metafisico; una decostruzione della realtà conosciuta, generalmente basata sull’economia binaria: A partire dalla positività del polo maschile si decide la negatività di quello femminile. In tale logica bipolare posto l’uomo come soggetto la donna risulta oggetto. L’elenco infinito del linguaggio quotidiano è pieno di dicotomie simili: cultura/natura; ragione/passione; mente/corpo; pubblico/privato… Si tratta del vasto articolato sistema che normalizza le identità ossia gli stereotipi del maschile e del femminile che fungono da modelli di comportamento. Risulta essere il mondo in cui posto il sé si definisce l’altro, dove il sé è rappresentato dall’uomo che definisce la donna altro da sé, funzionale a sé. In riferimento a questo modello l’Irigaray spiega magistralmente come sia l’economia binaria fondata sulla logica del medesimo. Come in uno specchio l’uomo si riflette nelle sue auto-rappresentazioni e cattura in esse anche la donna.

È un’altra senza una parola o una immagine propria. L’altra non è mai l’altra ma altra a partire da lui e dai suoi bisogni. Per tale motivo l’Irigaray (4) chiama l’economia binaria come economia omosessuale, nel senso di un unico soggetto e protagonista che si rispecchia nel medesimo, (dal latino homo). È nell’analisi dell’invidia del pene che risulta lampante la decostruzione effettuata dall’Irigaray, nel rapporto che esiste tra invidia e desiderio maschile: “La fobia dell’uomo, di Freud in particolare, per la stranezza inquietante del niente da vedere, potrebbe tollerare che lei, la donna, non ce l’abbia questa invidia? Che lei abbia altri desideri, eterogeni rispetto alla rappresentazione che lui si fa della sessualità, rispetto le sue rappresentazioni del desiderio sessuale, anzi le sue auto-rappresentazioni proiettate, riflesse?” Quell’invidia che programma tutta la vita della bambina e a sua insaputa, perché non è mai stata e non è mai voluta essere altro che maschio.


Note:

1) M.Wollstonecraft (1759-1797) è considerata una delle fondatrici del femminismo liberale. Nota per la sua vita scandalosa, è nata a Londra da una famiglia modesta, con frequenti difficoltà economiche. Tuttavia riuscì a farsi una cultura lavorando come governante presso una famiglia nobiliare. Abbandonò il posto, nauseata, dopo un anno e trovò aiuto e protezione presso l’editore e libraio J.Johnson, che le pubblicò nel 1788 il primo romanzo Maria. Divenuta scrittrice indipendente e collaboratrice del periodico La rivista analitica, pubblica l’opera Rivendicazione dei diritti della donna nel 1792 che inaugura il pensiero femminista. Dopo un deludente rapporto amoroso, che la porta a tentare il suicidio, intreccia una relazione amorosa con lo scrittore anarchico W.Godwin da cui nascerà nel 1797 la bambina Mary, futura autrice di Frankestein. Muore durante il parto per complicazioni sopraggiunte.

2) Adriana Cavarero è nata a Bra in provincia di Cuneo nel 1947. Si laurea in Filosofia e insegna presso l’Università di Padova fino al 1984. Negli anni Novanta intensifica i rapporti con il femminismo internazionale e fonda la Comunità filosofica femminile Diotima. Nonostante Platone, pubblicato nel 1990, rappresenta una delle sue opere che più la rese famosa al pubblico. Un’analisi metafisica dell’egemonia culturale e storica dell’uomo attraverso le poche figure femminili che la tradizione ci ha dato: Penelope, Demetra e Diotima. Una scrittura vivace che decostruisce dall’interno la logica universale maschile per un pensiero incarnato e femminile.

3)  Carla Lonzi è nata a Firenze nel 1931. Si laurea in Storia dell’Arte ed esercita la professione di critica d’Arte fino al 1970, quando, avvicinatesi al femminismo, fonda il gruppo Rivolta Femminile e una piccola casa editrice ad esso collegato. Nel femminismo italiano è stata la prima a insistere sulla differenza sessuale e sulle potenzialità positive della sessualità femminile. I due scritti più famosi sono Sputiamo su Hegel del 1970 e La Donna clitoridea e la Donna vaginale del 1971. Nel primo rifiuta alcune teorie di filosofi moderni (da Hegel a Marx) sulle problematiche femminili. Nel secondo rifiuta il modello sessuale vaginale, simbolo della supremazia dell’uomo e a lui conveniente.

4) Luce Irigaray è nata in Belgio nel 1930. Filosofa e psicoanalista vive e lavora a Parigi. Ha una formazione multidisciplinare cui concorrono filosofia, psicologia, letteratura e psicoanalisi. Costruisce e pensa la cultura a due soggetti, maschile e femminile, portatori di valori differenti ma di eguale importanza. L’opera Speculum del 1974 le fa perdere il posto di insegnamento e rappresenta una delle opere più importanti del femminismo contemporaneo. L’autrice mette a nudo la cecità sia della tradizione psicoanalitica sia di quella filosofica, in riferimento a quel continente nero che è la donna. La filosofia e la psicoanalisi non altro sono che rappresentazioni di quel fallocentrismo che giudica la donna come specchio invertito dell’uomo. Le idee della Irigaray hanno contribuito a dare una svolta teoretica al femminismo europeo continentale.