Il problema “droga” riguarda una certa invisibilità dove si determina e si manifesta l’assenza di regolamenti specifici su come la scuola deve agire e comportarsi per intervenire circa la questione spinelli e droghe.

L’assenza di una regolamentazione di questo tipo significa che persiste la mancanza di cultura, di modi di ragionare e di porsi, su come affrontare la situazione “droga” tra i giovani. Gli insegnanti tendono a vedere determinate condizioni e situazioni in modo abbastanza condiviso, ad esempio, per quanto riguarda il problema spinelli: la questione va trattata all’interno dell’interazione e relazione educativa dell’intervento pedagogico, mentre la famiglia va convocata in un secondo tempo, come se il primo passo fosse un trattamento della questione all’interno della relazione educativa con lo studente, che agisce un atteggiamento generale riguardante una “scarsa motivazione”.

Il trattamento educativo dovrebbe essere regolato tramite un attento controllo, se la scuola tiene presente che la questione va trattata anche con l’aumento della prevenzione, probabilmente si otterrebbero dei risultati motivanti anche indipendentemente da denunce, da sanzioni, da multe. Le risposte dei ragazzi rispetto a quali provvedimenti adottare sono orientate verso la dimensione sanzionatoria che gli insegnanti esercitano meno, privilegiando appunto l’intervento educativo. I ragazzi sono sempre più rigidi quando si ragiona sulle trasgressioni e si pongono dal punto di vista di chi deve intervenire. Tutti manifestano l’idea che l’intervento della denuncia, delle forze dell’ordine, sia qualcosa che viola la cittadella della scuola e la preziosità della relazione educativa. Spesso l’idea di ricorrere alla denuncia concerne gli spacciatori esterni, fuori dalle mura della scuola e dall’alveo della famiglia. Questo orientamento si scontra con questioni legali molto complesse sul consumo e lo spaccio di droghe. Nell’ambito dell’argomento della visibilità o invisibilità, della comunicazione o non comunicazione, su queste problematiche sussistono molte riflessioni, ma il problema consiste nel confrontarsi vicendevolmente. I ragazzi producono rappresentazione e idee sempre in movimento rispetto alla cultura delle droghe che risale agli anni ’70.

Nella transizione adolescenziale le sostanze possono costituire una prima esperienza che ad un’età più avanzata può portare al consumo di sostanze più gravi e mortali. I fattori motivazionali che determinano la scelta delle varie sostanze sono differenti. Quando pensiamo all’uso in adolescenza di sostanze, siamo culturalmente invasi da uno stato d’allarme e di ansia perché la nostra cultura ha recepito il fatto che nell’arco degli ultimi venti anni, l’utilizzo delle sostanze in adolescenza è aumentato in modo molto consistente. Questo tipo di allarme che compare spesso sulla stampa, nei testi divulgativi, tra le conversazioni, non produce una vera conoscenza del fenomeno. Affermare che l’uso di sostanze in adolescenza è aumentato in modo vertiginoso, non significa sapere molto su qual è la relazione fra gli adolescenti e l’assunzione di sostanze. Da un lato l’utilizzo della cannabis è davvero diffusissimo, dall’altro la relazione tra l’adolescenza e queste droghe può essere di tipi diversi. L’uso di sostanze in adolescenza non è dipendente, ma nel corso evolutivo giovanile sono presenti degli stili di utilizzo delle sostanze tra cui l’assunzione dipendente risulta assente. L’uso di sostanze di tipo dipendente si presenta maggiormente nella fascia d’età giovane-adulta ossia dai 20 ai 30 anni. D’altra parte è vero che le sostanze illegali subiscono un andamento di utilizzo che presenta il suo apice tra i 20 e i 30 anni e poi decade drasticamente.

Mentre le sostanze legali come alcool, nicotina e psicofarmaci sono droghe dell’età adulta, ossia permangono nell’utilizzo per tutto il corso della vita. Nell’universo dell’assunzione di sostanze sussiste una gamma di vicinanza alle droghe che va da un contatto episodico, sporadico, di poco peso, in modo progressivo, differenziato, fino ad un utilizzo molto critico che riguarda un numero di soggetti limitato, prefigurando una situazione per cui nel corso della prima adolescenza l’uso più frequente è di tipo esperienziale, ossia il contatto con la sostanza riguarda la possibilità di praticare nuove esperienze in tutti gli ambiti della vita tramite l’evasione e le trasgressioni.

L’utilizzo della cannabis, insieme all’alcool e alla nicotina, sono talmente diffuse tra i giovani anche se spesso in forme appunto non gravi, così da diventare degli elementi della costruzione dell’identità giovanile. L’estrema diffusione di queste sostanze fa diventare le droghe psicoattive appunto, uno dei tanti elementi su cui ogni adolescente si confronta. Nella generazione degli anni '70 un ragazzo che voleva fare uso di cannabis doveva cercarla attivamente con una forte motivazione per reperire un gruppo adatto con cui condividere l’esperienza e naturalmente uno spacciatore. Invece ai ragazzi di oggi questo tipo di sperimentazione avviene in modo facilitato perché sempre nella loro cerchia amicale, scolastica e sociale possono accedere a queste sostanze senza dover fare scelte molto motivate e drastiche. E’ più difficile per gli adolescenti dover decidere di non provare l’esperienza, piuttosto che accettarla, perché provare la cannabis è un rituale assai diffuso.

I soggetti impulsivi, poco riflessivi, con scarsi supporti famigliari possono avere più occasioni e possibilità di scadere nella devianza con l'utilizzo di sostanze come esperienza fondamentale nella propria vita, ma se si osserva il fenomeno in un’ottica clinica, la discriminante principale tra un utilizzo sporadico, blando, occasionale, che si potrebbe definire come non significativo, e un utilizzo problematico, frequente che può mettere in difficoltà un soggetto, riguarda essenzialmente la questione della decisione di una strategia d’azione per cui la sostanza con effetto psicoattivo viene a far parte di una forma di cura di sé che permette di integrare il principio psicoattivo nella propria vita, quasi come se si assumesse uno psicofarmaco. Questo elemento di cura di sé prevede una certa frequenza e assiduità nell’assunzione. Il giovane senza un uso continuativo e consistente non muta il suo equilibrio fisico e psichico, ma trasforma solo la propria immagine sociale. Si intende per cura di sé un palliativo alla difficoltà di tollerare l’ansia, l’angoscia e i pensieri turbolenti del processo di crescita, nell’ambito di un senso di fragilità e vulnerabilità della propria immagine interna che genera il dolore mentale della percezione di sé come personaggio incerto, instabile, insicuro, fragile in continua transizione.



Elaborato dell’incontro tenuto dai dott. Alfio Maggiolini ed Elena Rosci presso LA CASA DELLA CULTURA di Milano, per il ciclo "IL DISAGIO INVISIBILE"


ELENA ROSCI, psicoterapeuta, vive a Milano. Lavora all'Istituto Minotauro dove coordina l'équipe di psicologia femminile e insegna Psicologia della Coppia e della Famiglia presso la scuola di specializzazione in psicoterapia.

ALFIO MAGGIOLINI, psicoterapeuta, vicepresidente dell’Istituto Minotauro,è professore incaricato di Psicologia dell’adolescenza presso la Facoltà di psicologia dell’Università degli studi di Milano-Bicocca e coordinatore, presso il Centro per la giustizia minorile del Ministero della giustizia, dell’équipe psicologica dei Servizi della giustizia minorile della Lombardia.