Leggendo gli articoli del Canale Psicologia, mi sono interessata a uno intitolato: La ricerca dell’identità in adolescenza di Mariolina Gaggianesi. L’autrice affronta un problema di auto-definizione degli adolescenti dicendo: “sembra veramente difficile rispondere alla domanda “chi sono io?” L’adolescente non lo sa più...” La mia domanda è la seguente: ma siamo sicuri che la risposta la conosciamo noi, i trentenni d’oggi? Vale a dire, la stessa domanda ripetuta circa 15 anni dopo il periodo della nostra adolescenza non risulta nello stesso modo difficile da rispondere? In genere, sembrerebbe che una persona si ponga la domanda sulla propria identità ininterrottamente per tutta la vita.

Per un simile motivo di ricerca dell’identità, due ragazze polacche hanno avuto la brillante idea di creare un sito dedicato ai 30/40-enni formando così una specie di diario, dove ognuno degli iscritti possa descrivere la sua giornata di un 30/40-enne (1). Quello che in prima istanza sembrò una grande idea per mostrare la realtà di uomini di mezza età nel XXI secolo, si dimostrò un vero e proprio campione di fallimenti amorosi, delusioni, domande sulla propria soggettività nel campo sociale, culturale e globale. Perché accade che anche una persona adulta non abbia compiuto la strada per la propria auto-definizione, che si stia ancora costruendo nei vari ambiti. Perciò anche lui, non solo quell’adolescente, si mette la maschera del clown. La differenza è, a mio avviso, che mentre un adolescente si perde e confonde in quella maschera, un adulto la usa per i propri scopi. La maschera diventa una forma di auto-costruzione, di ciò tante testimonianze si possono trovare sul blog delle ragazze polacche. Anziché essere confondente, la maschera serve a nascondere intenzionalmente delle debolezze. Il problema comincia quando questo 30/40-enne si allontana dallo schermo del computer. Nel mondo reale si toglie la maschera mostrando un Sé che non gli piace. Conseguentemente, ne emerge un ritratto sconfortante di un uomo che invece di essere composto ed equilibrato, ripete gli stessi errori della gioventù mostrando un comportamento peggiore di un adolescente, perché, a differenza sua, il giovane ha tutti i diritti di sbagliare, essendo al solo inizio del proprio percorso di individuazione.
Per Leszek Kołakowski la giovinezza è un periodo genuino, quando “conta solo la convinzione, che niente sia ancora definitivo o determinato dal destino; che le strade siano aperte e tutto sia possibile. Più viviamo, più le nostre possibilità di scegliere si restringono, più diventiamo abitudinari, più caschiamo in solchi dai quali è sempre più difficile uscire, se non grazie a qualche sorprendente e accidentale catastrofe.”(2)

Se una emancipazione fino a raggiungere uno stato di identità stabile non è ancora avvenuta, un uomo di mezza età perde ogni speranza e sicurezza di potercela mai fare. Dunque se un adolescente si può paragonare ad una tabula rasa di Aristotele, uno 30/40-enne è una tabula suprascripta - sovraccaricata dall'esperienza, che impedisce di ritrovare se stessi. Dopo 15 anni dall’adolescenza uno si scontra con dilemmi diversi, che, a differenza di quelli adolescenziali, richiedono una certa dose di responsabilità. Come auto-definirsi mentre si deve affrontare un cambiamento non voluto del proprio fisico, piuttosto che fallimenti amorosi finiti con divorzi, o delusioni dalla vita sessuale entrata in paralisi? Il mondo di una persona di mezza età è fatto di problemi del tutto nuovi: istituzionalizzare una relazione, avere e crescere bambini; affrontare la morte dei genitori, il tradimento del partner, le tentazioni di entrare in un legame clandestino... Con passare del tempo i solchi nei quali caschiamo diventano più profondi, la vita che sarebbe dovuta essere ormai sistemata, è sospesa tra migliaia domande e inconciliabili risposte.

In tale ottica, con le emozioni sempre tumultuose, un trentenne si può sentire disperato al punto di fuggire. In seguito, le scelte che potrebbero aiutarlo nell'auto-identificazione - un legame duraturo, un matrimonio, una famiglia e bambini, vanno rimandate a ‘dopo’. Cosi’ si allontana ancora per un attimo il ‘toccare la terra con i piedi’. Ma la 'fuga' è una delusione, è solo un’attraente alternativa che non porta a nulla. Mentre durante l’adolescenza tale fuga può costituire un mezzo importante di auto-ricerca, 15 anni dopo una fuga simile sarà semplicemente identificata come vigliaccheria.
Per fare il primo passo nel ritrovamento della propria identità ad un 30/40-enne converrebbe iniziare ad accettare fatti ormai accaduti. Ciò significherebbe comprendere perché si è in un certo modo, con certe caratteristiche di personalità, con quali pregi e difetti, limiti e risorse. Il vantaggio di un trentenne su un giovane è la capacità di fare dei riassunti. A trent'anni non si costruisce l’identità da ‘zero’, ma prendendo uno spunto costruttivo da tutte le esperienze non facili ma ormai vissute, che hanno arricchito, e si cerca di ri-costruirla sulla base di una sintesi sincera della propria vita. Accettando se stessi e la realtà circostante è possibile formare un nucleo solido dentro di sé – quell’elemento non mutevole che rimarrà nonostante i cambiamenti esterni, giri sorprendenti o non voluti che prenderà la vita. Questo nucleo diventerà una fonte dalla quale prendere le forze e le risposte sulla domanda: ‘chi sono io?’



1. Per scoprire di più vai su: www.bookopen.pl Attenzione: sito interamente in lingua polacca.
2. L. Kołakowski, Mini wykłady o maxi sprawach (tr. it. Breviario minimo: piccole lezioni per grandi problemi), Znak, Kraków: 2003, p.168. Suddetta citazione tardotta da me.