A questi quesiti cerca di dare risposta il romanzo-autobiografia di Rosa Montero dal titolo "La pazza di casa", contenente anche una serie di curiosi aneddoti circa la vita di alcuni scrittori famosi (Calvino, Kipling, Tolstoj, Conrad, Garcìa Marquez, Salgari, Hemingway, Fitzgerald e altri ancora).

La Montero - giornalista e scrittrice spagnola classe 1951 - afferma senza mezzi termini che “noi romanzieri, scrivani incontinenti, scagliamo parole e parole contro la morte, senza sosta.” La scrittura, dunque, quale bisogno fisiologico impellente, un procedere necessario verso la stesura di un testamento, pur nella consapevolezza che “tra un paio di secoli nessuno si ricorderà di noi: a tutti gli effetti sarà come se non fossimo mai esistiti.” La scrittura viene intesa a tutto tondo - dal romanzo alla poesia - pur segnalando le differenze tra i generi.

In ogni caso, Rosa Montero evidenzia che l’atto di scrivere “presuppone la presenza di un solido ponte che mette in comunicazione con gli altri e quindi annulla la solitudine letale.” L’affermazione trova però un’apparente contraddizione nel gesto artistico spinto all’eccesso, con taluni autori che volontariamente si isolano dal mondo reale (anche con l’aiuto di droghe), alla ricerca di uno stato di alienazione mistico capace di far scaturire parole ultime e salvifiche. Ecco che scrivere può addirittura portare alla pazzia, a tal punto temuta dal poeta Rimbaud da costringerlo a bruciare i propri manoscritti e a smettere di scrivere, per votarsi totalmente al gesto, all’azione. Stiamo parlando di poesia, è vero, “eppure vi sono romanzi che finiscono per essere allucinazioni”. E allora può naufragare anche la mente di un romanziere, come nel caso di Salgari che, volendo “imitare gli eroi orientali che ammirava tanto: si squarciò il ventre con un pugnale e poi si tagliò la gola, in una atroce messa in scena della morte per harakiri dei samurai”.

Ma se oggi il lettore non esiste più, come sostengono in molti, tutti gli scrittori sono destinati inevitabilmente alla solitudine, venendo meno la possibilità di costruire quel ponte che accomuna gli esseri umani? Forse non tutti, dato che “ci sono opere orrende che vendono benissimo e libri stupendi che si vendono a malapena.” Sono allora gli scrittori mediocri ad avere maggiori possibilità di evitare la tanto temuta solitudine, mentre il talento è destinato a restare inascoltato, confinato in un angolo della nostra iper-tecnologica società contemporanea imbevuta di globalizzazione? Stando alle classifiche di vendita, la risposta non può che essere la più sconfortante e deprimente. D’altronde, la stessa Montero afferma che “oggi i libri sono un prodotto di mercato […] oggi tutto è mercato.” E il mercato ragiona a suon di classifiche, statistiche, proiezioni e via dicendo. Se a tutto questo aggiungiamo la vanità dello scrittore, sempre alla ricerca di un’approvazione esterna che legittimi il suo scrivere, indipendentemente dal confronto con altri scrittori del presente e del passato (strumento indispensabile per intraprendere un percorso di miglioramento e maturità), il quadro è davvero sconfortante.

Al di là di ogni possibile considerazione, Rosa Montero si muove sempre nell’ottica di un pensiero ben preciso: scrivere salva la vita. “Quando tutto il resto va a rotoli, quando la realtà marcisce, quando la tua esistenza rischia di naufragare, puoi sempre ricorrere al mondo narrativo.” Perché scrivere significa esplorare una realtà sconosciuta, un mondo dove tutto è possibile, dove la fantasia (la pazza di casa, secondo la definizione di Santa Teresa di Avila) dilata il campo visivo e gli orizzonti. L’importante è non gettarsi in pasto alla fantasia, diventandone prigionieri e totalmente dipendenti, perdendo il contatto con la vita reale. E’ sempre una questione di confini, a ben pensare. Di confini e di limiti.

E se scrivere salva la vita, per contro “come si fa a vivere senza la lettura? […] Un mondo senza libri è un mondo senza atmosfera, come Marte. Un luogo impossibile, inabitabile. Quindi la lettura viene prima della scrittura, e noi romanzieri siamo soltanto lettori traboccanti di parole, travolti dalla nostra ansiosa fame di parole.” Leggere è sicuramente il modo migliore per appagare la sete di conoscenza e, inutile negarlo, quella tendenza al voyerismo che appartiene al genere umano. Leggere è anche un modo per non sentirsi soli, per ritrovare la propria storia personale dentro la storia di qualcun altro, per immergersi in una realtà altra, per viaggiare “low cost”.

Ma soprattutto, l’esercizio della lettura allunga la vita, perché il lettore “non muore finché non ha finito il libro che sta leggendo.”