La Teoria dell’Attaccamento si è sviluppata a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo dal pensiero maturo di John Bowlby, che secondo quanto afferma Mary Ainsworth (1982), sviluppò l’idea dell’attaccamento “in un lampo”, quando nel 1952 lesse, dopo che ne aveva sentito parlare, i lavori etologici di Lorenz e Tionbergen (1935) sull’imprinting degli anatroccoli. Bowlby aveva avuto una formazione biologica ed etologica, oltre che medica, e si servì proprio dell’etologia per dare un fondamento scientifico all’aggiornamento che intendeva proporre per la teoria psicoanalitica. Durante la metà del secolo scorso la relazione madre-bambino era principalmente studiata in termini psicoanalitici che privilegiavano il contenuto della fantasia sull’esperienza reale e vedevano, come collante di questa relazione, da un lato, una pulsione o un bisogno da soddisfare (il nutrimento o la sessualità), dall’altro una relazione d’oggetto (Cassidy & Shaver, 2002). Entrambe le prospettive non soddisfacevano ciò che emergeva dai dati derivanti dalle osservazioni di Bowlby stesso. Neanche potevano trovare un accordo con gli studi di Lorenz, che evidenziava come gli anatroccoli appena nati seguissero la madre, che in questa specie non nutre i suoi piccoli, tanto meno con quelli di Harlow (1958), che aveva dimostrato che i cuccioli di scimmia Rhesus preferivano un surrogato materno peloso e morbido rispetto ad uno metallico che forniva loro cibo, dal quale si recavano solo per mangiare (Bowlby, 1988). Bowlby aveva quindi trovato una dimostrazione etologica del legame che prescinde dal nutrimento (le oche), e del nutrimento senza legame (le scimmie), ma doveva ancora formulare una teoria che giustificasse e descrivesse il legame madre-bambino. Le sue ricerche ebbero inizio anni prima, quando si trovò a lavorare alla Child Guidance Clinic con bambini disagiati che avevano alla loro spalle una situazione di abbandono, e nello studio “Fourty-four jouvenile thieves” (1944) trovò delle correlazioni tra delinquenza giovanile e privazione materna (Cassidy & Shaver, 2002). Successivamente si occupò dei bambini che dovevano trascorrere lunghi periodi di ospedalizzazione e indagò, insieme a Robertson (1952b), con l’osservazione diretta, gli effetti sui bambini della temporanea separazione dai genitori, distinguendo delle fasi che vanno dalla protesta attiva, al ritiro in se stessi e al distacco vero e proprio. Queste esperienze furono importati per la futura formulazione della Teoria dell’Attaccamento soprattutto perché, contrariamente a quel che faceva la psicoanalisi, e cioè risalire alla storia infantile tramite il racconto della persona in terapia e rintracciare retrospettivamente le origini della problematiche attuali, Bowlby si affidava all’osservazione diretta del comportamento dei bambini per tracciarne le sequele in prospettiva, dando spazio a ciò che è realmente accaduto, oltre che alla rappresentazione soggettiva di ciascun agente.
Non condividendo le teorie convenzionali, che vedevano l’attaccamento strettamente connesso alla nutrizione, Bowlby, in accordo con colleghi appartenenti all’ambito della biologia evoluzionistica, dell’etologia, della psicologia dello sviluppo, della scienza cognitiva e della teoria dei sistemi di controllo, sostenne che il legame che si instaura tra una madre e il suo bambino è la risultante di un pre-programmato sistema di comportamenti che si sviluppa nei primi mesi di vita ed ha l’effetto di mantenere il bambino in stretta prossimità con la figura materna (Cassidy & Shaver, 2002). Le sue teorizzazioni sono quindi basate in parte sull’etologia, in parte sulla critica alla psicoanalisi (Holmes, 1993; Bowlby, 1979).
Stabilì che funzione biologica del comportamento di attaccamento è la protezione, che si consegue mantenendo la prossimità con una figura chiaramente identificata e ritenuta in grado di affrontare il mondo in modo adeguato (Bowlby, 1988); se per l’uomo primitivo la protezione era intesa principalmente da possibili predatori, Bowlby ritenne che questo concetto fosse ancora valido perché i pericoli ambientali sono tutt’altro che trascurabili (incidenti domestici, stradali, o molestie sessuali da parte di terzi), e, inoltre, il bambino ha bisogno di protezione anche dai “pericoli interni”, quali sentimenti di rabbia e di odio (Holmes, 1993). Tale comportamento non risulta sempre attivo ma, in particolare alla fine del primo anno di vita, diventa organizzato in senso cibernetico e cioè si attiva in determinate circostanze, quelle in cui il bambino sperimenta fatica, dolore, paura e quando la madre appare inaccessibile; viceversa cessa, quando il piccolo sente la voce materna, o percepisce una forma di rassicurazione, a seconda dell’intensità con cui il comportamento si era attivato (Bowlby, 1988). I comportamenti di attaccamento sono molteplici ed hanno anche finalità diverse tra loro: alcuni, come sorridere e vocalizzare, sono detti comportamenti di segnalazione e servono ad avvicinare la madre che viene sensibilizzata a notare l’interesse del bambino ad interagire; il pianto invece è un comportamento avversivo che induce l’avvicinamento della madre per farlo cessare; altri ancora, come l’avvicinarsi o il seguire, da parte del bambino, sono comportamenti attivi che muovono il piccolo verso la madre (Cassidy & Shaver, 2002). La relazione di attaccamento ha, secondo l’autore della teoria, tre caratteristiche principali (Holmes, 1993):
- Ricerca di vicinanza ad una figura preferita:
la distanza alla quale il bambino si sente bene dipende da diverse variabili quali l’età, il temperamento, la storia di sviluppo, il sentirsi affaticato, spaventato o malato. Il bisogno di vicinanza dipende anche dalle circostanze e, di norma, diminuisce con il progredire della crescita.
- Effetto “base sicura”:
è la caratteristica principale che dovrebbero offrire i genitori, ossia essere pronti e disponibili a rispondere se chiamati in causa, incoraggiare e dare assistenza, ma intervenire attivamente solo quando è necessario. La “base sicura” rappresenta un “porto” dal quale il bambino o l’adolescente può partire per affacciarsi al mondo esterno e ritornare se spaventato o triste, sapendo di essere il benvenuto, e di poter trovare nutrimento sia fisico che emotivo (Bowlby, 1988).
- Protesta per la separazione:
pianto, grida, urla, morsi, calci, fanno parte della risposta primaria dei bambini alla separazione dalle figure di attaccamento; vengono considerate normali reazioni alla minaccia del legame di attaccamento e possono essere interpretate come tentativi di ripararlo e allo stesso tem­po di punizione per chi si allontana. La risposta alla separazione, inoltre, è l’indice principale dello stile di attaccamento analizzato nella Strange Situation. L’attaccamento rappresenta quindi, per Bowlby, un legame affettivo di tipo particolare, specifico, cioè diretto ad una sola persona (monotropismo) o a poche, alle quali si può fare ricorso nei momenti di bisogno e dalle quali si apprende. È particolarmente importante nei primi anni dello sviluppo, ma dura e persiste durante tutto l’arco di vita ed è permeato da emozioni contrastanti che hanno un ruolo importante e sono legate alla formazione, al mantenimento e alla distruzione della relazione di att­accamento (Bowlby, 1979). Una tesi chiave di Bowlby (1979) sostiene il rapporto causale che esiste tra le esperienze di un individuo con i propri genitori (relazione di attaccamento), e la sua successiva capacità di costruire dei legami affettivi e sottolinea, quindi, l’importanza che questa relazione si sviluppi e si mantenga in modo funzionale. A questo proposito introduce il concetto di trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento, e cioè mette in luce come i genitori che non riescono a instaurare un legame tranquillo con il proprio figlio e a rappresentare per lui una “base sicura”, a loro volta non abbiano avuto una relazione serena coi propri genitori e non abbiano avuto modo di sviluppare determinati modelli comportamentali positivi. Esperienze infantili negative hanno, infatti, il duplice effetto di rendere l’individuo maggiormente vulnerabile a esperienze del genere e di aumentare la possibilità che si vada incontro ad ulteriori esperienze avverse. Se una madre non ha ricevuto una “base sicura”, instaurerà meno interazioni con il proprio figlio ed entrerà meno in contatto con lui. Infatti, è emerso da donne che hanno maltrattato i propri figli, che nella loro storia di sviluppo avevano avuto ripetute minacce di abbandono, non avevano potuto rivolgersi alla propria madre in caso di difficoltà, oppure la relazione madre-figlio era stata ribaltata ed erano state loro stesse che si erano dovute occupare dei propri genitori (Bowlby, 1988). Viceversa i genitori che nell’infanzia hanno esperito transazioni con figure di attaccamento responsive e accettanti, sono maggiormente in grado di rispondere in modo empatico alle necessità dei propri bambini e offrono loro supporto affettivo (Bowlby, 1973). Già Bowlby quindi aveva intuito come alcuni pattern comportamentali si tramandassero di generazione in generazione e queste scoperte trovano svariate conferme neurobiologiche in alcune recenti ricerche (Francis et al., 1999).

BIBLIOGRAFIA
- Bowlby J. (1979). Costruzione e rottura dei legami affettivi. Raffaello Cortina Editore: Milano.
- Bowlby J. (1988). Una base sicura; applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Raffaello Cortina Editore: Milano.
Campbell A. (2008). Attachment, aggression and affiliation: the role of oxytocin in female social behavior. Biological psychology.77(1):1-10.
- Cassidy J, Shaver PR. (2002). Manuale dell’attaccamento; teoria, ricerca e applicazioni cliniche. Giovanni Fioriti Editore: Roma.
- Francis D, Diorio J, Liu D, Meaney MJ. (1999). Nongenomic Trasmission Across Generations of Maternal Behavior and Stress Responses in the Rat. Sciencemag.286:1155-1158.
- Holmes J. (1993). La teoria dell’attaccamento, Jhon Bowlby e la sua scuola. Raffaello Cortina Editore: Milano.