Diciamo amore e pensiamo occhi dolci e sguardi luccicanti, cene a lume di candela, orsacchiotti al compleanno e rose rosse a san Valentino, passeggiate mano nella mano al tramonto e abbracci sotto le stelle. O almeno questo è quello che vedono gli occhi di una persona romantica. Che poi c’è da chiedersi se esistano ancora i romantici. Ma non quelli ottocenteschi, quelli tratteggiati da Foscolo e Goethe, pronti a togliersi la vita per un amore non corrisposto. No, non loro. Ma quei romantici “old style”, quelli che si ricordano le date importanti, quelli che organizzano cene per la persona amata, quelli che ancora dedicano una canzone e si emozionano, quelli pronti a far chilometri pur di vedere l’amato due ore.

Diciamo amore e pensiamo a giornate zeppe di telefonate, sms e mail. Chiamate e messaggi gratis hanno fatto sì che il cellulare diventasse, ancor più che in passato, a tutti gli effetti un appendice indivisibile dell’essere umano, con tutti i suoi pro e i tutti i suoi contro. I rapporti si sono virtualizzati e l’interesse si misura con i “contatori dati” dei nostri smartphone.
“Mi chiama mille volte al giorno, mi scrive sms in continuazione, se non è amore questo!”
Ma è veramente amore ricevere una telefonata ogni 5 minuti da parte di chi dice di amarti e invece in modo del tutto impercettibile controlla ogni attimo della tua giornata?
“Se non è geloso, vuol dire che non ti ama!”
È amore inondare l’altro di una gelosia soffocante? Quella gelosia che prende la forma di scenate furibonde per uno sguardo di troppo indirizzato a chissà chi o chissà cosa. Magari l’attenzione del partner è stata semplicemente catturata da qualcosa presente nell’ambiente circostante (una scritta, un colore, un tessuto, un profumo, un suono, un gesto, le stelle) e non necessariamente sta flirtando col primo che passa! Quella gelosia che porta a voler conoscere la vita dell’altro nei minimi particolari. Per poterla controllare, ovviamente. Non di certo per condividerne gioie e dolori. Quello è solo un vecchio adagio, a cui ormai si stenta a credere perfino il giorno del matrimonio mentre si pronuncia la fatidica formula.
“Non metto la gonna perché se no si arrabbia. Dice che poi tutti mi guardano e non può fare a meno di innervosirsi. E che è una forma di rispetto nei suoi confronti.”
È amore fare in modo (con atteggiamenti e discorsi più o meno celati) che l’altro cambi il proprio modo di vestirsi?
“Non vado più al cinema da quando stiamo insieme. Non gli piacciono i film che scelgo. E per non avere discussioni, evito.” “Non ascolto più la musica di un tempo. Ora la colonna sonora delle mie giornate è quella della sua autoradio o dei suoi gruppi preferiti. Inutile chiedergli di cambiare frequenza o di metter su il nuovo cd che desideravo da tanto e che ho comprato a prezzo stracciato in edicola. La sua risposta è sempre la stessa: ma che razza di musica ascolti!”
È amore smettere di guardare e ascoltare ciò che piace, per guardare e ascoltare ciò che piace all’altro? È amore plasmarsi ad immagine e somiglianza dell’altro o è solo una simbiosi deleteria, che porterà ad annullarsi poco alla volta?

Quante “follie” si fanno per amore? Tante. Troppe a volte. Ma in fondo cos’è una follia? Presentarsi a casa dell’altro, suonare il campanello e aspettare che qualcuno apra la porta e si ritrovi davanti un enorme mazzo di rose. Chiamare in ufficio per chiedere in quale locale si sta svolgendo la riunione di lavoro e aspettare l’amato all’uscita. Comprare quel determinato oggetto di cui si è tanto parlato e farglielo recapitare. Tutte cose belle, indice di un buon rapporto di coppia, vero? Eppure è esattamente questo che fanno gli stalker, né più né meno. La differenza è in un piccolo particolare: lo stalkizzato percepisce queste azioni come non gradite, invasive, fonte di angoscia. Le stesse azioni che in un coppia sana non farebbero dormire per la piacevole scarica di ossitocina, in questo caso non fanno dormire per la paura che possa succedere qualcosa. Buffo vero? Buffo come un sentimento così prezioso come l’amore possa trasformarsi nel più distruttivo dei moventi.

“Non ha mai alzato le mani. Non è una persona violenta. Però certe battutine davanti ai colleghi potrebbe pure evitarle.”
E no, anche questa è violenza. Violenza psicologica. Subdola e spesso impercettibile. Troppe volte la subiamo senza neanche accorgercene. La violenza ha mille sfaccettature, non è solo violenza fisica o sessuale, ma anche psicologica, economica, sociale; ha mille modi di manifestarsi, mille modi di essere vissuta. Come vive chi subisce violenza? O meglio, come vive chi sopravvive alla violenza? Può l’amore uccidere? Certo. La cronaca nera fa incetta, suo malgrado, di notizie del genere. Donne e uomini che usano violenza nei confronti dei loro partner, donna o uomo che sia. E si può morire restando in vita? Purtroppo si. In tutti quei casi in cui la violenza non ha come epilogo l’uccisione della vittima. Casi che non assurgono agli onori della cronaca, di cui si parla poco e niente, perché “i panni sporchi si lavano in casa”. E se qualcuno guardandosi allo specchio una mattina, prendesse coscienza di quanto accade e decidesse di denunciare? Si, ottima cosa. Peccato che dovrà fare i conti non soltanto con una carenza legislativa (che fortunatamente va pian piano – forse un po’ troppo – scemando), ma anche e soprattutto con l’ignoranza dilagante che pervade buona parte della società in cui viviamo. Una società in cui ancora oggi senti pronunciare frasi del tipo: “ha fatto bene a picchiare la moglie se la cena non era pronta!”; una società in cui si rischia spesso e volentieri di essere vittimizzati due volte. Come se la prima non avesse fatto abbastanza danni. Una società in cui spesso si confonde la gelosia con l’amore, in cui quelli che danno fiducia e rispetto, quelli che lasciano l’altro libero di uscire la sera con l’amica che non vede da anni, di andare a correre, di guardare un film piuttosto che uscire insieme, vengono definiti “sfigati”. E a ben vedere lo sono, perché sono circondati da persone che non hanno la più pallida idea di cosa sia veramente l’amore.

Quanta importanza ha l’amore, nel senso più ampio del termine, nelle nostre vite? Come può cambiare la nostra esistenza? L’amore può portarci letteralmente al settimo cielo, così come farci sprofondare nel più profondo degli abissi. A volte ci si rialza più forti e migliori di prima e altre volte invece si scivola inesorabilmente ancora più in basso. L’amore ci trasforma, nel bene e nel male. Ogni emozione porta con sé anche il suo opposto. L’amore porta necessariamente con sé una buona dose d’odio. E così, quando un rapporto entra in crisi, si finisce per odiare chi si amava. Se prima si pensava a come rendere felice l’amato, ora si pensa a come danneggiarlo, se non proprio distruggerlo.
La capacità dei genitori di infondere amore ai propri figli, di insegnare loro il rispetto degli altri è uno degli antidoti migliori alla violenza. Eppure più che prevenire si preferisce in qualche modo curare, pensare a come risolvere il problema più che a come evitare che accada. Si parla spesso di violenza di genere, molto meno di violenza domestica. Si parla spesso di donne vittime dei loro compagni, molto meno di uomini vittime delle loro compagne, quasi mai della violenza all’interno delle coppie omosessuali. Si parla spesso di chi ha commesso la violenza, molto meno di chi l’ha subita. Ci si interroga su cosa abbia portato l’aggressore ad agire, sulle cause e sulle conseguenze del suo gesto; non ci si interroga sulle conseguenze di questo gesto per le vittime.

Ora più che mai, è necessario un cambiamento di rotta, è necessario dar voce a tante anime chiuse nel silenzio. Ora più che mai, bisognerebbe imprimere, in modo indelebile, nelle nostre menti e nelle nostre coscienze quanto affermato da Simone Weil: “Nessuno ha amore più grande di colui che sa rispettare la libertà dell’altro”.