La tesi che vado qui a presentare tratta della Relazione con Dio come esperienza di Attaccamento: è mio intento in questo scritto indagare, attraverso una ricerca bibliografica, come la letteratura, sia scientifica che non, abbia trattato tale argomento nel corso degli anni, cercando di dimostrare le varie teorie e indicando le ricerche sperimentali principali ad esse correlate. Tutto questo avviene nell’ottica della Psicologia della Religione, la quale ha come scopo quello di comprendere le basi del comportamento degli individui verso il loro credo, analizzandone i fattori inconsci, culturali, sociali e individuali; essa, quindi, prende in considerazione comportamenti e atteggiamenti che la persona o il gruppo qualificano come religiosi, perché collegati con la fede in un essere soprannaturale oppure con una visione della vita che non esclude la dimensione del sacro, e cerca di comprenderne i fattori motivazionali.
Come accennato, punto di partenza in questa mia trattazione sarà la Teoria dell’Attaccamento, così come concepita nella trilogia di Bowlby “Attaccamento e perdita” (1969, 1973, 1980): tale concetto riguarda quel sistema comportamentale innato che ha lo scopo di aiutare il soggetto a creare legami di valenza emotiva con gli altri e, in secondo luogo, di soddisfare bisogni di affetto e di percezione di sicurezza. La persona scelta dal piccolo, solitamente la madre, la quale sarà detta “Caregiver”, diventerà figura importantissima di legame e sarà ricercata ogni qualvolta lo stesso, anche in fasi successive alla prima infanzia, si percepirà in pericolo, in solitudine o bisognoso di aiuto e conforto.
La teoria intende l’Uomo come biologicamente predisposto a tale sistema comportamentale, che è da subito attivato e che si modifica e sviluppa con l’età. Tale crescita del sistema, con conseguente sua definizione della modalità propria di Attaccamento, è fortemente influenzata dalle tipologie di feedback che la madre offre alle richieste di conforto e bisogno del piccolo. Anche grazie a questi, infatti, il bambino svilupperà un Attaccamento Sicuro o Insicuro; in quest’ultimo caso, arriverà ad essere o Evitante o Ansioso, salvo casi estremi che sfoceranno in una tipologia Timorosa. Tali tipologie relazionali si possono individuare tramite una metodologia messa a punto dalla Ainsworth (1969), denominata Strange Situation, in cui i bambini sono posti in una situazione di stress emotivo. Dalle loro reazioni si comprende la tipologia di relazione in base a quelle teorizzate da Bowlby.
Studi successivi, poi, hanno teorizzato che ad ogni tipologia di Attaccamento corrispondono delle rappresentazioni interne del sé e degli altri, detti “Modelli Operativi Interni” (Main, 1985), di tipo positivo o negativo, e che essi influenzano e direzionano le relazioni che l’individuo andrà a intraprendere per tutta la vita. Tali immagini mentali non sono stabili, ma possono essere soggette a variazioni e migliorie nel tempo.
Tutto questo, a detta di Kirkpatrick (1990), è riportabile anche nella relazione che il fedele crea con Dio, in cui questi si pone come Caregiver Celeste, proprio come nell’immaginario giudaico-cristiano, mentre il credente diventa figlio del Trascendente, così come afferma il Cattolicesimo quando ci pone nella condizione di figli del Signore. Infatti è solo da pochi anni, più precisamente dagli inizi degli anni ’90, che Kirkpatrick (1990) negli Stati Uniti e Granqvist (1998) in Europa hanno iniziato a trattare il rapporto con Dio al parti di una relazione di Attaccamento approfondendone le tematiche a questo tema collegate.
Nella seconda parte di questo scritto approfondisco il tema della Religione dal punto di vista e psicologico e antropologico. La Religione è stata da più psicologi studiata nelle sue numerosi componenti: Allport (1950) la definisce come un senso di chiamata e di fiducia totale che un soggetto, detto credente, ripone in una persona o entità trascendentale, che comunica con questa attraverso molteplici modalità, siano esse collettive o individualistiche. In seguito, lo psicologo americano definisce anche il sentimento che si lega a questo costrutto, quello della Religiosità, differenziabile in tipologia Estrinseca o Intrinseca.
I concetti religiosi nascono nell’individuo fin dai primi anni della sua vita: e Freud (1905, 1913) e Allport (1950) tracciano due percorsi sulla nascita e crescita delle idee di Dio e della Sua percezione nell’individuo durante il corso della sua esistenza.
Importante è la teoria di Rizzuto (1970) che esplica la differenza tra Immagine di Dio e Idea di Dio nell’individuo e nella società. A questa, faccio seguire un breve “percorso fotografico” di rappresentazioni di Dio così come viene immaginato e raffigurato sia dai bambini, che ne disegnano la propria percezione mentale, sia dalle civiltà dell’Uomo, che da sempre ha cercato di rappresentarsi il Trascendente.
Importante è andare a cercare testimonianze bibliche della paternità di Dio: Dio è rivelato padre sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento, ma in particolar modo è grazie a Gesù che arriviamo a concepirlo e sentirlo come Papà di ognuno di noi.
Proseguo poi in questa parte confrontando e valutando se si possono ritrovare le sei componenti della relazione di Attaccamento Bambino-Caregiver teorizzate da Bowlby (1969) anche nel legame Dio-Credente. Esse si possono riscontrare anche nel rapporto di fede con l’Onnipotente, in cui questo si dimostra vero Caregiver in quanto porto sicuro, costante nella presenza vicino all’uomo, base sicura da cui partire per le personali esplorazioni e raggiungibile e accessibile attraverso la preghiera.
La terza e ultima parte è l’unione delle due precedenti: essa conclude il percorso, approfondendo gli esiti, con le relative conseguenze, dell’intendere il rapporto con Dio come legame di Attaccamento, mostrandone le teorie, le modalità e le ricerche svolte nel tempo dalla Psicologia. Di particolare interesse ai fini di questa tesi, e di ciò che essa tratta, è la teoria di Kirkpatrick (1999): questi ipotizza l’esistenza di due possibili comportamenti messi in atto dal soggetto credente verso Dio, uno di tipo Corrispondente, ossia dove il fedele replica con Dio lo stile di Attaccamento sviluppato con gli altri, e uno di tipo Compensativo, in cui il fedele si rapporta con Dio cercando di soddisfare con Lui il proprio vuoto relazionale. Kirkpatrick, inoltre, prosegue i suoi studi approfondendo come i Modelli Operativi Interni influenzino la relazione col Padre.
Strumento interessante ai fini della ricerca e della comprensione delle modalità di Attaccamento che una persona credente sviluppa verso Dio è il “ The God Image Inventory” (G.I.I.; Lawrence, 1997), test composto da 8 scale di valutazione, per un totale di 156 item, con lo scopo di valutare l’immagine di Dio di un soggetto in un ambiente clinico o pastorale; la versione per campioni di soggetti in sperimentazione prende il nome di “The God Image Scale” (G.I.S.; Lawrence, 1997), che riduce le scale a 6 e gli item totali a 72 (ne esiste anche una versione da 3 scale e 36 item). Entrambe le scale, ideate da Richard T. Lawrence (1997), partono dalla distinzione teorica, vista precedentemente, di Ana-Maria Rizzuto (1979) tra “Immagine di Dio” e “Concetto di Dio” e hanno come scopo quello di misurare la raffigurazione che gli individui hanno del Signore: tale può essere influenzata da molti fattori, come la cultura, lo stile di vita e, prima ancora, la relazione genitoriale avuta nei primi anni di vita. Per evitare di creare situazioni di difficoltà di risposta nel soggetto a cui il test viene somministrato, sia esso il GII o il GIS, l’autore ha preferito utilizzare item con frasi complete, di facile e completa comprensione e riguardanti la percezione di se stessi e di Dio; inoltre, per permettere anche una facilità di risposta, ogni item è legato ad una scala di risposta Likert a 4 punti: questo portò ad un test da 156 item, ossia il GII. Le differenze tra i due test, GII e GIS, sono innanzitutto il fatto che nel GIS troviamo meno scale di valutazione rispetto al GII, questo per favorire una migliore interpretazione dei risultati; in secondo luogo, anche gli item sono ridotti, passando da 156 a 72; terzo, gli item scelti nel GIS non sono gli stessi del GII, questo sempre per migliorarne la comprensione e flessibilità di utilizzo; infine diverso è lo scopo per cui sono state costruite, dove la GII ha obiettivi di misurazione psicometrica dell’immagine di Dio di un solo soggetto in ambito pastorale e/o clinico, mentre la GIS è più flessibile nell’utilizzo e somministrabile a campioni più ampi.
Arrivando alla conclusione, indico alcune ricerche che meglio aiutano a comprendere come la Psicologia ha studiato la relazione tra il Credente e Dio, gli strumenti di maggior rilevanza nello studio di questo costrutto, i limiti, i pregi mostrati nelle sperimentazioni e, infine, quali prospettive di ricerca si aprono nel futuro.