Nelle opere di Freud è sempre difficile separare il momento applicativo dalla elaborazione teorica che si intrecciano attorno all'asse della terapia. Il loro rapporto, tutt'altro che stabile, rende impossibile una metodologia generale che fissi la tecnica analitica nella forma teorica. Negli anni ‘30 prevale un'ottimistica concezione dell’io considerato l'alleato della terapia, il cui fine, più che la guarigione, è un soggetto nuovo, padrone di sé e della sua storia. Col procedere del lavoro analitico, le resistenze alla cura si rivelano della stessa natura delle pulsioni e ad esse congiunte. L’io del paziente invece si dimostra un alleato infido, un sintomo. Erano ancora salde alcune certezze di stampo positivista, come la possibilità di ricostruire la storia del soggetto, poiché tutto il passato è conservato nella memoria e si tratta solo di dissotterrarlo.
Significativa è la metafora che assimila la psicanalisi all'anatomia, paragonando i residui lasciati dall'analisi, ossia i frammenti di storia infantile, ai fili di sutura dopo un intervento chirurgico che affiorano solo posticipatamente. La ricostruzione della storia passata del paziente diviene la costruzione di una vicenda di cui egli non è l'unico protagonista e che si situa in una zona intermedia tra la realtà e la fantasia. Con l'opera “Analisi terminabile e interminabile”, Freud separa definitivamente la fine della terapia dal fine della terapia, dichiarando l'analisi interminabile.

Nel “La storia del movimento psicanalitico” del 1914, Freud nega l'uso polemico dell'analisi che presuppone il consenso assoluto dell'analizzato. Poiché  il sapere analitico si trasmette attraverso l'analisi propedeutica, nel rapporto terapeuta e paziente si riscontra la stessa simmetria esistente tra analista e didatta, analista e allievo. Questo comporta da parte dell'allievo una tale sottomissione all'autorità costituita da frenare le spinte del rinnovamento. Dopo la prima generazione di analisti, contemporanei di Freud e i loro immediati discepoli, il dibattito teorico tenderà a spegnersi. Mentre la psicanalisi, come esperienza dell'inconscio, si estende a nuovi campi della cultura, la sua pratica tende a sclerotizzarsi in forme ripetitive, incapaci di intrattenere con la teoria un rapporto di provocazione, unico mezzo per sortire una crescita del nuovo sapere.

Abbiamo visto che l'inizio della terapia analitica coincide con l'abbandono dell'ipnosi. Con l'adozione della regola fondamentale “ognuno deve comunicare senza sottoporre a critica tutto ciò che gli viene in mente”, la psicanalisi costruisce, nel materiale inconscio, il proprio oggetto. Perché si delimiti il campo disciplinare della psicanalisi, occorre che essa si confronti, di volta in volta, con le competenze già consolidate dapprima con la psichiatria. Partendo dalla sua definizione di nevrastenia, Freud applica una grande distinzione fra nevrosi attuali, caratterizzate da sintomi organici, e derivate da una disfunzione controllata dal sistema nervoso centrale e somatica della sessualità, e psiconevrosi, in cui sarebbe determinante il conflitto psichico. La psicanalisi investe solo queste ultime, mentre le nevrosi attuali sono di competenza neurologica e tra esse Freud isola la nevrosi d'angoscia dicendola provocata da tensione sessuale, non di derivazione psichica. Nel corso dell'analisi, i pazienti rivelano di vivere una sessualità insoddisfatta solitamente a causa di prolungate pratiche anticoncezionali. L'eccitamento somatico si accumulerebbe, non trovando la naturale via di scarica e l'eccitazione quindi non psichica, rimane puramente corporea, esprimendosi in rossori e Freud finirà per sostenere come, nella pratica terapeutica, nevrosi attuali e psiconevrosi si presentano contemporaneamente. Anche se, successivamente, la causa specifica sarà vista negli effetti di precoci vissuti infantili, l'influsso dell'accumulo di tensione sessuale rimarrà riconosciuto. Questa indecisione tra fattori oggettivi, biologici, storico-biografici e fattori soggettivi, psicologici, caratterizzerà il pensiero freudiano. Avrebbe voluto costruire una teoria matematizzabile, una specie di scienza economica delle forze nervose, secondo i principi delle scienze naturali, infatti Freud spiega l'insorgere di una malattia nevrotica essenzialmente con il carico complessivo di energia che il sistema nervoso si trova a sopportare in rapporto alla sua capacità di resistenza, come spiega ne “Il progetto di una psicologia” del 1895. Questo tentativo mancato spingerà Freud ad elaborare una concezione di apparato psichico in modo esclusivamente psicologico. Riemerge sempre però l'ideale di una scienza che tenga conto contemporaneamente dell'aspetto psichico e di quello organico.

Contemporaneamente all'ambizioso progetto, Freud abbozza una concezione generale delle nevrosi, come singolari processi psichici, e difese che si presentano quali repentina interruzione della catena associativa, entrando in azione quando si crea una radicale incompatibilità tra una singola rappresentazione e l’io. Mentre nell'isteria, l'eccitamento sottratto alla rappresentazione, si converte in una ramificazione degli organi volontari, nelle nevrosi ossessive rimane nella sfera psichica. Individuati questi fenomeni di resistenza e difesa come dimenticanze, distrazioni, lapsus, Freud formulò la teoria della rimozione in cui l'amnesia assume l'identità di processo attivo in cui una barriera energetica blocca la libera circolazione del ricordo. La rimozione non solo produce il vuoto dell'amnesia, ma lo riempie di un altro ricordo per nascondere il primo. L'analisi procede per scomposizione e viene utilizzata proprio perché i sintomi e le manifestazioni patologiche, vertigini, brividi, sintomi che minano l'orgasmo mancato, sembrano provenire dal di fuori, estranei e minacciosi. La tensione fisica della nevrosi d'angoscia, non potendo passare nello psichico, si esprime per via organica. Le manifestazioni patologiche sono composte da moti pulsionali ed è proprio analizzando gli elementi scomposti e isolati che si può procedere. L'analisi però non potrà mai dirsi esaustiva poiché il suo percorso si concluderà di volta in volta solo provvisoriamente e rimanendo interminabile. Di conseguenza l'inconscio non sarà mai perfettamente traducibile in fattori consci. Con l'analisi degli elementi scomposti è possibile individuare le resistenze del paziente e scoprire che il sintomo è un modo simbolizzato di espressione di un conflitto che non ha trovato altra via di espressione. Il sintomo riesce ad esprimere sia la parte positiva (desiderio) sia la negativa (rimozione del conflitto stesso), come il soddisfacimento sostitutivo,e può anche esprimere più istanze psichiche nello stesso momento, per questo il suo abbandono provoca frustrazione.

L'eliminazione del sintomo quindi danneggia il processo di guarigione attenuando la sofferenza che dovrà perciò essere ripristinata sotto forma di privazione. Il paziente cerca un sostituto gratificante in oggetti sostitutivi e in particolare nella cura stessa per cui l'analista dovrà sottrarsi alle richieste di amore, aiuto, consiglio, approvazione nell'ambito del transfert. La neutralità dello psicanalista comporterà il riconoscimento dei limiti del proprio intervento senza abbandonarsi a fantasie di onnipotenza. Freud elabora la nevrosi da transfert, poiché nella terapia essa si presenta come una forma di resistenza alla cura, da una parte, quindi come sintomo e dall'altra come la condizione necessaria per cogliere il conflitto nucleare infantile. Nel transfert il paziente rievoca e rivive il rimosso; si materializzano le relazioni con i suoi oggetti, anche i più precoci, ma soprattutto il rapporto col padre, come cardine del conflitto edipico. Quanto più un contenuto psichico non viene trascritto in discorso, tanto più può ricomparire come atto. Il coinvolgimento emotivo del terapeuta risulta un ostacolo alla cura perciò egli si farà prima paziente, per conoscere i propri confini e, per controllarsi, per non cedere alle lusinghe e alle richieste del paziente con il transfert positivo e per non cogliere le sue provocazioni, le sue frustrazioni da transfert negativo. Per questo Freud raccomanda anche al paziente il mantenimento di un certo distacco.